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Si stima che siano state circa 500.000 le persone di etnia Rom, Sinti, Manush, Kalé (coloro che dagli altri popoli vengono generalmente chiamati “zingari”) sterminate nei campi nazisti, insieme ad Ebrei, omosessuali, comunisti e altri oppositori di vario orientamento politico. Fino a qualche anno fa questo fenomeno drammatico non ha riscontrato molto interesse, neanche nella ricerca storica.
A Prato abbiamo invece uno storico, Luca Bravi, che si è dedicato alla ricerca su questo tema e ha contribuito a divulgare la memoria di quest’enorme numero di vittime della follia razzista, una memoria che inizia a farsi strada anche sui mezzi d’informazione di massa. E con l’aiuto del prof. Bravi Rai Scuola ha prodotto nel 2022 un documentario proprio sul genocidio di Rom e Sinti.
In questo nostro sito presenteremo un piccolo “dossier” che raccoglie alcuni materiali dedicati a tale tema, e vogliamo iniziare proprio dal link al documentario di Rai Scuola.
Due parole ora sul termine Porrajmos, che traiamo da Wikipedia:
«Il termine Porrajmos [dalla lingua romanì, traducibile con “grande divoramento” o “devastazione”], diffuso inizialmente da Ian Hancock, uno dei massimi studiosi del genocidio, oggi viene messo in discussione dalle stesse comunità romanì, perché da molti considerato inadeguato. Viene sempre più utilizzato il termine Samudaripen (Samudaripen = sa+mudaripen = tutti+uccisione = uccisione di tutti = sterminio, genocidio), ritenuto più appropriato».
Dossier “Porrajmos”, l’altra Shoah
intervista di Paolo Ciampi al prof. Bravi
FIRENZE - Porrajmos non è un termine molto noto, anche tra coloro che sono più attenti al dovere della memoria. Eppure una delle parole del genocidio. Un altro modo per ritornare all’orrore dei lager, per provare a evocare che è davvero successo. Il termine è traducibile come “grande divoramento”, con cui Rom e Sinti indicano lo sterminio del loro popolo sotto il nazismo.
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Ricordare che cosa è stato il Porrajmos aggiunge un altro pezzo di memoria necessaria. Magari interrogandosi anche sui tanti ritardi e amnesie che certo non hanno aiutato una piena consapevolezza di questi eventi. Ne parliamo con Luca Bravi, ricercatore e docente a contratto presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Firenze, autore di numerose pubblicazioni relative alla storia dei Rom e dei Sinti in Europa, relatore alla Camera dei Deputati in occasione del primo riconoscimento a livello nazionale della persecuzione dei Rom e dei Sinti in Italia durante il fascismo. Insomma, uno dei pochi studiosi italiani che si sono occupati in maniera approfondita e sistematica del Porrajmos.
Porrajmos: perché finora se n’è parlato troppo poco?
La causa del silenzio da individuare soprattutto nei medesimi stereotipi di stampo razziale che si sono conservati con una linearità agghiacciante dall’immediato dopoguerra e fino ad oggi in riferimento a quelli che continuiamo a chiamare “gli zingari”. Quest’ultimo un termine offensivo coniato per indicare un gruppo che consideriamo in toto composto da soggetti ladri, asociali e nomadi, perciò “geneticamente” (ma oggi si dice “culturalmente”) pericolosi. Gli stereotipi attivi determinano la tenuta a distanza di queste persone e la distanza provoca l’assenza di spazio e di disponibilità per la ricostruzione storica e soprattutto per la testimonianza. Non ci potrà essere testimonianza storica finché non si attiverà una reale inclusione a livello sociale. Ecco perché il Porrajmos parla di memoria storica, ma ha bisogno di costruire spazi d’inclusione nel presente; ed ecco perché il Porrajmos è uno dei temi caldi rispetto alla costruzione di un tempo “post-Auschwitz”.
Qualcosa è cambiato negli ultimi tempi, sia dal punto di vista della ricerca storica che della consapevolezza diffusa?
A livello internazionale è cambiato molto: oggi il Porrajmos è riconosciuto come persecuzione e sterminio avvenuto per motivazioni razziali, esattamente come la Shoah ebraica. Se questo riconoscimento è avvenuto lo si deve soprattutto a importanti testimonianze di Ebrei ed oppositori politici che hanno raccontato la persecuzione subita da Rom e Sinti anche e non solo nel campo di Auschwitz-Birkenau. Queste testimonianze, insieme ai documenti rintracciati e studiati, hanno permesso di far sorgere a Berlino un Memoriale dedicato alle vittime del Porrajmos di fronte al Reichstag tedesco, a poca distanza dal memoriale ebraico. Credo che questa prossimità sia il simbolo più importante della direzione inclusiva che deve prendere la politica della memoria in ogni nazione. La consapevolezza diffusa invece ancora latita, soprattutto in Italia, dove non si pone ancora la necessaria attenzione. Il Porrajmos non è tuttora neppure menzionato all’interno della legge che ha istituito il “Giorno della Memoria”. Tuttavia anche da noi la ricerca storica è ripartita. Oggi abbiamo due strumenti multimediali all’avanguardia rispetto al resto d’Europa: un museo virtuale (www.porrajmos.it) che ripercorre il Porrajmos in Italia tramite i documenti e la voce dei testimoni diretti ed il portale www.romsintimemory.it che narra le vicende dello sterminio nazista.
Ci sono responsabilità specifiche italiane, così come per la Shoah?
L’Italia fascista è stata un ingranaggio del sistema di persecuzione e deportazione di Rom e Sinti e quindi del Porrajmos. Questo attraverso almeno quattro fasi specifiche con un intervento sempre più radicalizzato: l’allontanamento ed il rimpatrio dei cosiddetti “zingari” (anche quelli di cittadinanza italiana), la pulizia etnica nelle zone di frontiera rispetto alla presenza di soggetti rom e sinti (con il confino obbligatorio in Sardegna), l’arresto e l’invio in “campi di concentramento riservati a zingari” sorti sul territorio italiano, ad esempio ad Agnone (Molise) (www.porrajmos.it ripercorre le vicende a riguardo), la deportazione verso i lager oltre confine.
Quanto serve recuperare questa memoria per combattere il pregiudizio oggi?
La memoria del Porrajmos serve se diventa la scintilla per avvicinarsi oggi ai Rom ed ai Sinti presenti nelle nostre città e scoprire che non sono quei “mostri” che la maggior parte delle persone immagina. Per scoprire, per esempio, che più della metà di Rom e Sinti nella nostra nazione sono di cittadinanza italiana e di antico insediamento. Sul Treno della Memoria della Regione Toscana gli studenti ed i professori avranno anche quest’opportunità: scoprire che le vicende di deportazione studiate hanno toccato anche le famiglie di Rom e Sinti che sono loro concittadini da tempo, ma che a causa del pregiudizio diffuso non è stato costruito uno spazio che permetta il racconto della storia e la costruzione di una memoria sociale. Basta un solo dato a chiarire definitivamente la linearità dell’esclusione e dell’odio tra passato e presente: durante il nazismo e il fascismo, i cosiddetti “zingari” furono perseguitati e sterminati perché indicati come portatori della “tara ereditaria” (dunque razziale) dell’“istinto al nomadismo”. Oggi la maggior parte degli italiani crede ancora che Rom e Sinti siano “nomadi”; non è vero, non lo sono mai stati. Approfondire questo dato di fatto, magari a scuola, magari entrando in contatto con i rappresentanti rom e sinti delle associazioni presenti in Italia, apre un mondo e fa crollare il castello di carta del pregiudizio. Conoscere il Porrajmos può rappresentare quel soffio di vento in grado di scompigliare le carte e farci tornare a riflettere sul significato presente del fare storia e memoria.
Intervista raccolta da Paolo Ciampi il 16 gennaio 2015
(Tratto da: https://www.toscana-notizie.it/-/luca-bravi-e-il-porrajmos-il-genocidio-di-rom-e-sinti).
Inserito il 26/05/2023.
Il prof. Luca Bravi.
Fonte della foto: https://www.unifimagazine.it/author/luca-bravi/
I Rom vengono deportati a Kozare e Jasenovac, due campi di concentramento istituiti dai Croati. Jugoslavia, luglio 1942.
Fonte della foto: https://encyclopedia.ushmm.org/images/large/6389a16e-f794-4a4a-812f-5de685403f29.jpg.pagespeed.ce.nEqb9ZkC19.jpg
Dossier “Porrajmos”, l’altra Shoah
a cura di United States Holocaust Memorial Museum
Una ricostruzione storica della tragedia di questi popoli discriminati.
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Il genocidio dei Rom in Europa, 1939–1945
a cura di United States Holocaust Memorial Museum
I Rom, o Zingari, furono una delle etnie che il regime nazista e gli alleati dell’Asse presero di mira e poi perseguitarono a causa di presunte differenze razziali.
Facendo leva sull’approvazione di molti Tedeschi, che pur non essendo nazisti avevano però pregiudizi sociali contro i Rom, il Regime dichiarò questi ultimi “una razza inferiore”. Il destino dei Rom fu molto simile, in alcuni aspetti, a quello degli Ebrei. Durante il Regime Nazista, le autorità tedesche sottoposero i Rom all’internamento, al lavoro forzato, e, infine, allo sterminio. Le autorità tedesche, inoltre, assassinarono decine di migliaia di Rom nei territori che l’esercito aveva occupato in Unione Sovietica e in Serbia, insieme ad altre migliaia nei centri di sterminio di Auschwitz-Birkenau, Chelmo, Belzec, Sobibor, e Treblinka. Le SS e le forze di polizia deportarono i Rom nei campi di concentramento di Bergen-Belsen, Sachsenhausen, Buchenwald, Dachau, Mauthausen, e Ravensbrück. Infine, sia nella cosiddetta Grande Germania che nel Governatorato Generale [cioè quella parte di Polonia occupata dai Tedeschi ma non ufficialmente annessa alla Germania] le autorità civili tedesche rinchiusero molti Zingari nei campi che erano stati creati per il lavoro forzato.
Il 21 settembre 1939, Reinhard Heydrich, Capo dell'Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich, incontrò a Berlino alcuni funzionari della Polizia di Sicurezza (SIPO) e dei Servizi di sicurezza (SD). Con la vittoria della Germania in Polonia ormai certa, egli intendeva deportare 30.000 Rom tedeschi e austriaci dai territori della Grande Germania al Governatorato Generale. Nella primavera del 1941, però, il Governatore Hans Frank, il funzionario civile di più alto livello di quella parte di Polonia controllata dai Tedeschi, vanificò il piano di Heydrich rifiutandosi di accettare il trasferimento nel Governatorato di un gran numero di Rom e di Ebrei.
Le autorità tedesche deportarono comunque alcuni Zingari dalla Grande Germania alla Polonia nel 1940 e 1941. Nel maggio del 1940, le SS e la polizia deportarono nel distretto di Lublino, che si trovava all’interno del Governatorato generale, circa 2.500 Rom e Sinti provenienti per la maggior parte da Amburgo e da Brema, e li rinchiusero nei campi di lavoro. Le condizioni nelle quali i prigionieri furono costretti a vivere e lavorare si dimostrarono letali per molti di loro. Il destino di quelli che sopravvissero è ancora un mistero: è probabile che le SS li abbiano trucidato nelle camere a gas di Belzec, Sobibor, o Treblinka. Nell’autunno del 1941, le autorità di polizia tedesche deportarono 5.007 Sinti e Zingari Lalleri dall'Austria al ghetto ebraico di Lodz, dove furono rinchiusi in un settore apposito e separato dal resto del ghetto. Quasi metà dei Rom morì durante i primi mesi successivi al loro arrivo a causa della mancanza di cibo, abitazioni adeguate, materiale per riscaldare e medicine. Durante i primi mesi del 1942, le SS tedesche e i funzionari di polizia deportarono nel campo di sterminio di Chelmo tutti coloro che erano riusciti a sopravvivere alle terribili condizioni del ghetto. Lì, insieme a decine di migliaia di Ebrei – anch'essi provenienti dal ghetto di Lodz – i Rom furono mandati a morire nelle camere a gas, avvelenati con il monossido di carbonio.
I Tedeschi rinchiusero i Rom in cosiddetti campi zingari, (Zigeunerlager) situati nella cosiddetta Grande Germania, o Reich, con l'intento di deportarli in un secondo tempo. Quando le deportazioni dei Rom furono sospese, nel 1940, quelle strutture diventarono aree di detenzione a lungo termine. Marzhan, a Berlino, insieme a Lackenbach e Salzburg, in Austria, furono tra i peggiori campi di quel tipo e centinaia di Rom morirono a causa delle orrende condizioni di vita. I cittadini tedeschi che risiedevano nelle vicinanze di quei campi se ne lamentavano spesso e chiedevano che i Rom fossero deportati per “salvaguardare” la morale, la sicurezza e la salute pubblica. Le polizie locali usarono quelle lamentele per fare appello al Comandante delle SS Heinrich Himmler (Reichsführer-SS) affinché ripristinasse le deportazioni dei Rom a Est.
Nel dicembre del 1942, Himmler ordinò la deportazione di tutti i Rom che ancora vivevano nella cosiddetta Grande Germania. Alcune eccezioni erano previste per certe categorie, come ad esempio coloro che avevano “puro sangue zingaro” da generazioni, o persone di discendenza zingara che si erano però integrate nella società tedesca e quindi non si comportavano come gli altri zingari, o altri ancora (con le loro famiglie) che si erano distinti nell’esercito tedesco. Almeno 5.000 e forse fino a 15.000 persone rientravano in quelle categorie esenti dalle deportazioni, ma le autorità locali spesso non si preoccuparono di quelle distinzioni durante i rastrellamenti, al punto che, in alcuni casi, le autorità della polizia deportarono persino Rom arruolati in quel momento nell’esercito tedesco (la Wehrmacht) mentre si trovavano in licenza.
Per la maggior parte, la polizia tedesca deportò i Rom della Grande Germania ad Auschwitz-Birkenau, dove le autorità del campo li confinarono in un settore apposito chiamato “il campo delle famiglie zingare”. Circa 23.000 tra Rom, Sinti e Lalleri furono deportati ad Auschwitz. Intere famiglie vivevano ammassate nel settore destinato agli Zingari. I medici assegnati al complesso di Auschwitz, come il Capitano delle SS Dr. Josef Mengele, ricevettero l’autorizzazione a selezionare soggetti umani tra i prigionieri di Auschwitz per i loro esperimenti pseudoscientifici. Mengele, in particolare, per i suoi test, selezionò gemelli e nani, alcuni provenienti dalle famiglie zingare del campo. Circa 35.000 Zingari, adulti e adolescenti, erano rinchiusi in altri campi di concentramento tedeschi:i medici selezionarono i soggetti per le loro ricerche anche tra i Rom dei campi di Ravensbrück, Natzweiler-Struthof, e Sachsenhausen. Gli esperimenti avvenivano o nei campi stessi o in istituti situati poco lontano.
\Le condizioni di vita nel settore occupato dagli Zingari ad Auschwitz-Birkenau contribuirono al diffondersi delle epidemie di tifo, vaiolo e dissenteria che decimarono la popolazione del campo. Alla fine di marzo, le SS uccisero nelle camere a gas circa 1.700 Rom, giunti pochi giorni prima dalla regione di Bialystock. Molti di loro, ma decisamente non tutti, erano già malati. Nel maggio del 1944, gli amministratori del campo decisero di trucidare tutti gli Zingari. Le guardie delle SS circondarono il settore nel quale vivevano i Rom, per impedire a chiunque di fuggire. Quando fu loro ordinato di uscire, i Rom si rifiutarono perché erano stati avvertiti delle intenzioni dei Tedeschi e si erano armati di tubi di ferro, vanghe e altri attrezzi usati normalmente per il lavoro.
I capi delle SS decisero di evitare lo scontro diretto con i Rom e si ritirarono. Dopo aver trasferito 3.000 Rom ancora in grado di lavorare ad Auschwitz I e in altri campi di concentramento in Germania-tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate 1944-il 2 agosto le SS deportarono i rimanenti 2.898. La maggior parte di quei prigionieri era costituita da malati, anziani, donne e bambini. Furono uccisi praticamente tutti nelle camere a gas di Birkenau. Un piccolo gruppo di ragazzini che erano riusciti a nascondersi durante le operazioni di trasferimento fu catturato e ucciso nei giorni successivi. Almeno 19.000 dei 23.000 Rom che furono inviati ad Auschwitz morirono nel campo.
Nei paesi d’Europa occupati dai Tedeschi, il destino dei Rom fu diverso da nazione a nazione, a seconda delle circostanze. In genere, le autorità tedesche prima internavano i Rom e poi li trasferivano o in Germania, ai lavori forzati, o in Polonia, dove venivano o uccisi oppure, anche qui, costretti a lavorare. Diversamente da ciò che le politiche tedesche prevedevano per gli Ebrei tedeschi e austriaci—e cioè che le persone cosiddette di sangue misto fossero esentate dalle deportazioni (ma non dal lavoro forzato)—nel caso dei Rom le SS e la polizia, dopo molte titubanze e confusione, decisero che gli "Zingari di sangue puro" erano innocui, mentre coloro il cui sangue era misto erano pericolosi (indipendentemente dalla loro percentuale di sangue zingaro) e quindi potevano essere deportati.
Si pensa che le unità dell’esercito tedesco e delle SS abbiano fucilato almeno altri 30.000 Rom negli Stati Baltici e in altre zone dell’Unione Sovietica che erano state occupate dai Tedeschi, dove gli Einsatzgruppen e altre cosiddette unità mobili di sterminio uccisero, insieme agli Ebrei e ai Comunisti, anche i Rom. Nella Serbia occupata, le autorità tedesche uccisero gli uomini Rom in operazioni di fucilazione di massa, durante tutto il 1941 e i primi mesi del 1942; successivamente, nel 1942, essi trucidarono anche le donne e i bambini caricandoli su furgoni in cui veniva poi immesso il gas. Il numero reale di Rom uccisi in Serbia non si conoscerà mai. Le stime variano dai 1.000 ai 12.000.
Nella Francia di Vichy, dopo l’insediamento del governo collaborazionista, avvenuto nel 1940, le autorità intensificarono sia le semplici misure restrittive contro gli Zingari che la vera e propria persecuzione. Nel 1941 e 1942, la polizia francese internò almeno 3.000 e forse fino a 6.000 Rom provenienti sia dalla Francia occupata che da quella libera. Le autorità francesi, successivamente, mandarono un numero relativamente basso di quei prigionieri nei campi di concentramento in Germania, come Buchenwald, Dachau, e Ravensbrück.
In Romania- membro dell’Asse e quindi alleato della Germania-le autorità non procedettero all’eliminazione sistematica dei Rom che vivevano all'interno del paese; tuttavia, nel 1941 e 1942, l’esercito e la polizia deportarono in Transnistria, una regione nell’Ucraina sud-occidentale amministrata dalla Romania, circa 26.000 Zingari provenienti principalmente dalla Bukovina e dalla Bessarabia, ma anche dalla Moldavia e dalla capitale Bucarest. Migliaia di quei deportati morirono per le malattie, la fame e il trattamento brutale a cui furono sottoposti.
Le autorità del cosiddetto Stato Indipendente Croato—un altro alleato della Germania, membro dell’Asse e governato dall’Organizzazione separatista e terrorista Ustascia—trucidarono praticamente l’intera popolazione Rom del paese, circa 25.000 persone. All’interno del sistema di campi di concentramento di Jasenovac, controllato dalla milizia Ustascia e dalla polizia politica croata, persero la vita tra i 15.000 e i 20.000 Rom.
Non si sa con assoluta precisione quanti Rom siano stati uccisi durante l’Olocausto. Anche se non è possibile determinare esattamente cifre o percentuali, gli Storici ritengono che i Tedeschi e i loro alleati abbiano ucciso circa il 25 per cento dei Rom europei. Dei poco meno di un milione di Zingari che vivevano in Europa prima della guerra, i Tedeschi e i loro alleati dell’Asse ne uccisero almeno 220.000.
Dopo la Guerra, la discriminazione contro i Rom continuò in tutta l’Europa dell’Est e in quella Centrale. La Repubblica Federale Tedesca, ad esempio, determinò che tutte le misure prese contro i Rom prima del 1943 erano state misure ufficiali e legittime contro persone che avevano commesso atti criminali e non, invece, il risultato di politiche dettate dai pregiudizi razziali. Questa decisione impedì di fatto che alcun risarcimento fosse riconosciuto alle migliaia di vittime Rom incarcerate, sterilizzate e deportate dalla Germania senza aver commesso alcun crimine. La polizia criminale della Baviera, dopo la guerra, prese possesso dei documenti frutto delle ricerche del regime nazista, incluso il registro dei Rom residenti nella Grande Germania.
Soltanto alla fine del 1979, il Parlamento della Germania Occidentale riconobbe ufficialmente che la persecuzione dei Rom ad opera dei Nazisti era stata motivata dal pregiudizio razziale, aprendo così la possibilità, per la maggior parte dei Rom, di fare domanda di risarcimento per le sofferenze e le perdite subite sotto il Regime Nazista. A quel punto, però, molti tra coloro che avrebbero potuto presentare quella domanda erano già morti.
(Tratto da: Il genocidio dei Rom (o Zingari) in Europa, 1939-1945, a cura di United States Holocaust Memorial Museum, Enciclopedia dell’Olocausto, consultato il 03/06/2023. URL: https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/genocide-of-european-roma-gypsies-1939-1945).
Inserito il 03/06/2023.