Dalla rivista online «L’ospite ingrato»
Isabella Adinolfi recensisce il volume
a cura di Caterina Zamboni Russia
(Rimini, NdA Press, 2025)
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Rivoluzione e natura
di Isabella Adinolfi
Sulla mia lapide possono comparire solo due sillabe: ‘zwi-zwi’. È il richiamo delle cinciallegre, che io imito così bene che subito arrivano […] E sa, signorina Jacob, cosa significa? Questa è la prima sensazione tranquilla della prossima primavera – nonostante la neve, il gelo e la solitudine, noi – le cinciallegre e io – crediamo nella prossima primavera! E se non lo provo per impazienza, non dimentichi che sulla mia lapide non si può scrivere altro che ‘zwi-zwi’.
R. Luxemburg
È uscito di recente, per NdA Press, nella collana «Biblioteca del pensiero rivoluzionario», il volume: Rosa Luxemburg, Nuvole, uccelli e lacrime umane. Lettere su natura e rivoluzione, a cura di Caterina Zamboni Russia. Come suggerisce il titolo, il libro raccoglie una selezione di lettere della filosofa e politica ebreo-polacca, scelte al fine di far emergere un ritratto vivido del suo profondo amore per tutte le creature.
Zamboni Russia non è nuova al mondo dell’editoria. Insieme al padre, Massimo Zamboni – noto musicista e scrittore –, ha pubblicato La macchia mongolica e, successivamente, una propria ricerca di grande interesse: La più piccola repubblica d’Europa. Questo volume, edito dalla raffinata casa editrice genovese il melangolo, splendidamente prefato da Maria Concetta Sala, offre un’approfondita indagine sull’esperienza delle Décades de Pontigny, gli incontri culturali ideati e organizzati a partire dal 1910, nell’abbazia di Pontigny in Borgogna, dal critico letterario e filosofo Paul Desjardins.
La prefazione di Nuvole, uccelli e lacrime umane. Lettere su natura e rivoluzione, intitolata Breviario per rimanere un essere umano, si apre con un’immagine suggestiva. Rosa Luxemburg, nel silenzio del suo studio alla periferia di Berlino, si rigira tra le mani un prisma di cristallo che usa come fermacarte. I raggi di luce, attraversandolo, si scompongono nei colori dell’arcobaleno e si rifrangono sulle pareti e sugli oggetti circostanti: un busto di marmo, un orologio, dei fiori bianchi…, divertendo la gatta Mimi. Agli occhi di Zamboni Russia, quel prisma diventa il simbolo dell’anima di Luxemburg, un’anima attraversata da un’empatia profonda per tutti gli esseri viventi, capace di restituire la complessità del reale in mille sfaccettature di luce e sentimento. Scrive Zamboni Russia:
Rosa Luxemburg si relaziona al mondo e alle sue storture con una medesima capacità di rifrazione, illuminando e scomponendo la realtà umana e naturale in una miriade di sfaccettature luminose, intime e solari. Lontano dai congressi, dalle agitazioni e dalle proteste in piazza, la rivoluzionaria polacca si racconta accompagnata da una ridda di animali e piante, una moltitudine di vespe, cinciallegre, bombi, bufali, fiori di campo e alberi di acacia. (p. 9)
È una prodigiosa capacità di immedesimazione, una compassione profonda per ogni forma di vita e per la fragilità dell’esistente, che spinge Luxemburg a impegnare sé stessa fino in fondo, mettendo la propria vita al servizio degli altri, soprattutto dei più fragili. La sua è una forma di conoscenza affettiva che si fa pratica politica, un’etica della compassione e della cura che attraversa il suo impegno rivoluzionario. La natura, per Luxemburg, non è sfondo, ma interlocutrice: una presenza viva che restituisce profondità al suo sguardo e umanità alla sua lotta:
Rosa Luxemburg – osserva Zamboni Russia – coglie nei suoi compagni animali l’emblema della condizione esistenziale, coniando grazie a essi categorie fondamentali per la sua riflessione politica – la tutela del debole, la compassione, la cura dell’altro – in una forma del tutto inedita per il suo tempo e anticipatrice. È nella difficoltà del vivere naturale – una coccinella, una cinciallegra, un fiore colto nel cortile del carcere – che l’intellettuale polacca riesce a intravedere e meglio comprendere l’altrettanto fragile condizione umana. (p. 10)
Le lettere che Zamboni Russia ha raccolto, tradotto, annotate e introdotto sono quasi tutte inviate dalle due carceri femminili in cui Luxemburg è stata rinchiusa per tre anni, dal 1916 al 1918, dapprima quella di Wronke e poi quella di Breslavia. Il primo gruppo di lettere, forse le più note, è indirizzato a un’amica carissima, Sophie Sonja Liebknecht.
In queste lettere si parla spesso del canto degli uccelli, del loro linguaggio segreto, che Luxemburg ha imparato a interpretare e a «parlare»:
Adesso – scrive all’amica – io sono come re Salomone: anch’io comprendo il linguaggio degli uccelli e degli animali. Naturalmente non come se usassero parole umane, ma capisco le diverse sfumature e le sensazioni che mettono nei loro suoni. Solo all’orecchio rozzo d’una persona indifferente il canto degli uccelli può essere sempre lo stesso. Se si amano gli animali e li si comprende, si troverà una grande varietà d’espressione, un intero linguaggio. (p. 46)
Molti sono anche i riferimenti al mondo vegetale: si parla di fiori, ora del semplice dente di leone che, come lei, ama il sole, ora dell’elegante orchidea, che le ricorda le damine incipriate del Rococò, e per questo le ispira una certa diffidenza. Ricorrono anche affettuosi accenni agli «amici alberi», al loro fogliame, ai polloni che spuntano nuovi, e alle erbe selvatiche che sa riconoscere e raccoglie con cura nel suo erbario, come un novello Linneo.
Ma sarebbe un errore pensare che la sua visione della natura sia ingenuamente idilliaca o stucchevole. Al contrario, ne percepisce lucidamente la crudeltà e ne soffre. Durante una passeggiata, incuriosita da una macchia scura sul terreno, si china e diventa spettatrice di quella che definisce una «tragedia silenziosa»:
un grosso scarabeo stercorario giaceva sul dorso e lottava impotente con le zampe, mentre un intero gruppo di minuscole formiche gli brulicava sopra e gli divorava il corpo vivo! Rabbrividii, tirai fuori il fazzoletto e cominciai a scacciare quelle bestie brutali. Ma erano così audaci e testarde che dovetti sostenere una lunga lotta con loro, e quando finalmente liberai il povero sofferente e lo posai lontano sull’erba, gli avevano mangiato già due gambe… Me ne andai con la penosa sensazione di avergli fatto un bene molto dubbio. (p. 42)
In altri casi, invece, il salvataggio ha esiti più felici, come quello della splendida farfalla stanca, posatasi senza forze sul davanzale della sua cella. Luxemburg la cura, le offre fiori e la espone al sole affinché possa riprendere vigore ed energia.
Vede giusto Zamboni Russia. Il segreto della dolcezza che si percepisce leggendo le lettere che parlano della natura risiede in questo: Luxemburg pensa e sente che tutto è bene. La sua è una adesione totale a questo mondo, con tutte le sue contraddizioni, fatto di luce e ombre, bene e male, vita e morte, tenerezza e violenza. Un mondo in cui sono possibili tanto la giustizia e la felicità quanto il male e la sopraffazione, in cui ella opera e che con la sua azione politica mira a migliorare, ma che ama nonostante tutto e nel quale si sente comunque a casa, come lei stessa si esprime: «Mi sento a casa solo nel mondo, dove ci sono nuvole, uccelli e lacrime umane» (p. 127). E la giovane studiosa ha ancora ragione nel commentare così queste parole:
È probabilmente in questo punto che si situa la principale differenza tra Rosa Luxemburg e i suoi compagni di partito: la capacità di uno sguardo ulteriore sulla realtà – offrire un riparo a una coccinella infreddolita in un batuffolo di ovatta, riscaldare un bombo intirizzito col calore del proprio respiro, piangere per la sofferenza di un bufalo frustato1 – le permette di non dimenticare mai le motivazioni reali del suo engagement umano, oltre che politico, senza tuttavia abbandonarsi alla durezza della politica e alla chiusura dell’ideologia. (p. 13)
Se le lettere dedicate alla natura trasmettono un senso di serenità e contemplazione, quelle di carattere politico restituiscono con forza il clima di tensione e le profonde fratture che segnarono la sinistra rivoluzionaria dell’epoca. Vi si colgono le divisioni interne ai partiti, le lacerazioni ideologiche e le feroci lotte tra i militanti, esplose già all’indomani delle rivoluzioni del 1905 e del 1917.
Leggendole, colpisce la ferma e intransigente opposizione di Rosa Luxemburg al Partito Socialdemocratico di Germania (SPD), responsabile, ai suoi occhi, di aver tradito lo spirito autenticamente rivoluzionario del socialismo, abbracciando una linea riformista e, ancor più gravemente, sostenendo lo sforzo bellico del governo durante la Prima guerra mondiale.
Colpisce la sua militanza critica nella Lega di Spartaco durante la fase convulsa che precedette e accompagnò la nascita della Repubblica di Weimar. Un impegno politico che culminò tragicamente nel gennaio 1919, con il brutale assassinio suo e di Karl Liebknecht per mano dei Freikorps dell’esercito, nel contesto della sanguinosa repressione della rivolta spartachista, ordinata – sembra – dal governo socialdemocratico.
Dopo quella fine violenta, tragica, calò il silenzio. Vi fu una rimozione sistematica della sua figura e del suo pensiero dai canali ufficiali della memoria storica, fino alla loro riscoperta, simbolica e politica, durante le mobilitazioni del 1968.
Proprio riflettendo su questo silenzio, mi è tornato alla mente un saggio di Franco Fortini: Le mani di Radek, incluso nel volume Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, che trae lo spunto da una fotografia ritoccata dell’epoca staliniana. Karl Radek, epurato, venne cancellato dall’immagine ufficiale. Un gesto esemplare della damnatio memoriae praticata dal regime sovietico. Non solo eliminazione fisica, bensì anche cancellazione dalla memoria visiva e simbolica.
Eppure, in quella foto, un dettaglio resta: le mani di Radek che poggiano sulle spalle di chi gli sta accanto. Ed è questo il particolare che colpisce Fortini e su cui si sofferma. Quelle mani sopravvivono al ritocco, testimoniando una presenza scomoda. Una traccia impossibile da cancellare.
Se le mani di Radek sono rimaste a testimoniare il suo passaggio nella storia, allora – potremmo aggiungere – era prevedibile che anche le idee di Rosa Luxemburg e le sue opere più importanti sarebbero riemerse dagli archivi e riscoperte. Lei stessa lo auspica con «orgoglio» (p. 82) in una lettera a Hans Diefenbach del marzo 1917, riferendosi a L’accumulazione del capitale e soprattutto all’Anticritica, scritto che, a suo dire, le sarebbe sicuramente sopravvissuto.
Così, quelle mani e quelle parole scritte diventano un monito: ci ricordano che nulla nella storia può essere davvero cancellato e ci invitano anche a riflettere su quanto sia importante difendere la libertà, quella libertà che, scriveva Luxemburg, è «sempre la libertà di chi la pensa diversamente» (p. 28, Rosa Luxemburg. Uno schizzo biografico di Benedikt Kautsky, tradotto e inserito nel volume).
L’identità forte di questa «Rivoluzionaria senza partito», come la definì Hannah Arendt, le consentì sempre di conservare la propria interiore indipendenza rispetto alla ideologia imperante, di denunciarne le ambiguità e compromissioni. Scriveva a Mathilde Wurm, dopo averla redarguita severamente per la posizione accomodante tenuta in parlamento dai compagni di lotta che l’amica difendeva:
Rimarrò sempre la tua bussola perché la tua stessa natura ti dice che io ho il giudizio più incrollabile – in me si sono dissolti gli aspetti negativi (ansietà, abitudine, cretinismo parlamentare) che offuscano il giudizio degli altri. Tutta la tua argomentazione contro la mia soluzione, “eccomi qui – non posso fare nient’altro!”, si riduce a quanto segue: tutto bene, ma le persone sono codarde e deboli per azioni così eroiche, quindi le tattiche devono essere adattate alla loro debolezza e al principio “chi va piano, va sano”. (p. 125)
E poco prima nella medesima lettera aveva criticato i miseri tatticismi della politica:
La semplice affermazione delle persone oneste e rette: “Sono qui, non posso fare altro, che Dio mi aiuti”, non è mai stata pronunciata da voi. È una fortuna che la storia del mondo fino a oggi non sia stata fatta da persone come voi, perché altrimenti non avremmo avuto la Riforma e probabilmente saremmo ancora bloccati con l’ancien régime. Per quanto mi riguarda, negli ultimi tempi io, che certamente non sono mai stata tenera, sto diventato dura come l’acciaio lucido e d’ora in poi non farò la minima concessione, né politicamente né nei miei rapporti personali. (p. 123)
Anticapitalista, antimilitarista, ecologista, animalista ante litteram…, quel che colpisce di Rosa Luxemburg è innanzitutto il suo coraggio, ma poi anche l’imparzialità del suo sguardo, la sua esigente attenzione per tutti e tutto.
Cosa vuoi fare nello specifico con il dolore ebraico? Altrettanto vicini a me sono le povere vittime delle piantagioni di gomma di Putumayo, i neri dell’Africa con i cui corpi gli europei giocano a palla. Ricordi ancora le parole dall’opera del capo di Stato Maggiore nella battaglia di Trothaschen nel Kalahari: “… E il rantolo dei moribondi, il grido folle di coloro che muoiono di sete si dissolsero nel solenne silenzio dell’infinito”? Oh, questo “solenne silenzio dell’infinito”, in cui tante grida rimangono inascoltate, risuona così forte in me che in cuor mio non riesco ad avere un posticino speciale per la questione ebraica. (p. 127)
Nonostante tutto: è un’espressione che ricorre spesso sotto la penna di Rosa Luxemburg e da ogni fibra del suo essere erompe un inno d’amore per la vita. Questa piena accettazione della realtà, persino nelle circostanze più avverse, la avvicina sorprendentemente, come nota Maria Concetta Sala, alle figure di Etty Hillesum e Simone Weil, al loro modo di abitare e guardare il mondo. La religione – scriveva Simone Weil – è in fondo una questione di sguardo. Ed è proprio questo sguardo partecipe sul mondo che ci preserva nell’umano. Ad esso, solo a esso, appartiene la formula segreta, capace di trasfigurare il brutto in bello, il male in bene, l’orribile in meraviglioso, il dolore in gioia. È uno sguardo che consente di aderire pienamente alla realtà, di accogliere ciò che viene così com’è, non con rassegnazione infinita bensì con un atteggiamento di fiducioso abbandono.
In una lettera di metà dicembre 1917 spedita dalla sua cella nel carcere di Breslavia – che meriterebbe di essere riportata integralmente per la sua nobiltà spirituale e umana – Luxemburg scriveva:
[G]iaccio qui nella cella buia su un materasso duro come la pietra, intorno a me regna il solito silenzio da cimitero, ci si sente come in una tomba; dalla finestra la luce del lampione che brucia tutta la notte davanti alla prigione si riflette sul soffitto. Di tanto in tanto si sente solo il rumore lontano di un treno che passa o, molto vicino sotto le finestre, il tossire della sentinella che fa qualche passo lento con i suoi stivali pesanti per muovere le gambe intirizzite. La sabbia scricchiola tanto disperatamente sotto questi passi da far risuonare nella notte umida e buia tutta la desolazione e l’assenza di vie d’uscita in questa esistenza. Giaccio lì tranquilla, avvolta in questi molteplici panni neri di oscurità, di noia, di mancanza di libertà dell’inverno – e il mio cuore batte di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se stessi camminando in un prato fiorito sotto il sole splendente. E sorrido nel buio alla vita, come se conoscessi un segreto magico capace di smentire tutto il male e la tristezza e di trasformarli in pura luce e felicità. E io stessa cerco le ragioni di questa gioia, ma non trovo nulla e devo di nuovo sorridere di me. Credo che il segreto non sia altro che la vita stessa; la profonda oscurità notturna è così bella e morbida come il velluto, se la si guarda nel modo giusto. E nello scricchiolio della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della sentinella la vita canta una dolce canzoncina – se si sa ascoltare nel modo giusto. In questi momenti penso a lei e vorrei tanto condividere questa chiave magica, affinché lei possa sempre percepire la bellezza e la gioia della vita in ogni situazione, affinché possa vivere anche lei in uno stato di euforia, come se stesse camminando su un prato variopinto. Non intendo certo nutrirla di ascetismo o di gioie immaginarie. Io le auguro tutte gioie sensibili, reali. Vorrei solo aggiungere a esse la mia inesauribile serenità interiore, per essere tranquilla per lei, sapendo che procede nella vita con un mantello ricamato di stelle che la protegge da tutto ciò che è meschino, triviale e spaventoso. (pp. 62-63)
L’idea di raccogliere le lettere sulla natura di Rosa Luxemburg – figura nota soprattutto per il suo impegno politico – è probabilmente maturata in Zamboni Russia in occasione di un convegno organizzato il 2 e 3 maggio 2023 all’Università Ca’ Foscari di Venezia, in collaborazione con l’Ateneo Veneto, simposio al quale la giovane studiosa aveva partecipato con un interessante intervento su Cristina Campo. Il convegno era dedicato al pensiero di alcune grandi figure intellettuali del Novecento, che nelle loro opere hanno raccontato la natura nella accezione più ampia del termine, e tra queste spiccava il nome di Rosa Luxemburg, il cui pensiero era stato analizzato in quell’occasione da Lucetta Scaraffia.
Scaraffia collegava suggestivamente l’amore per la terra, il sì incondizionato alla vita nella sua interezza pronunciato da Luxemburg, alla sua appartenenza alla tradizione ebraica, ai ricordi delle letture del Salterio che aveva ascoltato da bambina2. Il nome di Dio, anche del «Dio di Nazareth», in effetti ricorre abbastanza spesso in queste lettere. Prima di essere trasferita in Breslavia, Luxemburg scrive: «Signore Dio, il cielo e le nuvole e tutta la bellezza della vita non rimangono a Wronke, che io debba dir loro addio, no: vengono con me e rimangono con me, ovunque io sia e finché vivo» (p. 54). Leggere insieme i due testi – di Scaraffia e di Zamboni – aiuterà quindi certamente a penetrare più in profondità nella complessa psiche di questa donna straordinaria.
Ma vorrei chiudere questa recensione con una riflessione di Simone Weil su Rosa Luxemburg, scritta dopo averne letto la traduzione francese delle lettere inviate dal carcere. Non è un caso, credo, che sia stata proprio Weil a riconoscere con tanta chiarezza l’indipendenza interiore e la profonda umanità della rivoluzionaria polacca. Chi condivide una certa idea della dignità umana la riconosce senza esitazione.
Scrive Weil:
Al contrario di tanti capi del movimento operaio, e soprattutto dei bolscevichi, in particolare Lenin, Rosa non ha ristretto la propria vita entro i limiti dell’attività politica. Fu un essere completo, aperto a ogni cosa, e al quale non era estraneo alcunché di umano. La sua azione politica era solo una delle espressioni della sua natura generosa. Da questa differenza tra lei e i bolscevichi riguardo all’atteggiamento interiore del militante nei confronti dell’azione rivoluzionaria derivarono anche i grandi disaccordi politici che nacquero tra loro, e forse, se Rosa fosse vissuta, il tempo non avrebbe fatto altro che acuirli. È grazie al carattere profondamente umano di Rosa che la sua corrispondenza conserverà sempre un interesse attuale, qualunque cosa apporti il corso della storia.3
Isabella Adinolfi
(Tratto da: https://www.ospiteingrato.unisi.it/rosa-luxemburgnuvole-uccelli-e-lacrime-umaneisabella-adinolfi/).
Note
1 Sull’episodio notissimo del bufalo, si veda qui la lettera inviata dal carcere femminile di Breslavia, a metà dicembre del 1917, da Luxemburg a Sonja Liebknecht, pp. 61-65. Si veda anche il volume curato da M. Rispoli, Un po’ di compassione, Milano, Adelphi, 2007; e il commosso commento di A. Collini, Rimanere seduti in un mondo di uomini in piedi. Rosa Luxemburg: una voce dal carcere, che accosta l’atteggiamento di Luxemburg a quello di un personaggio di Guerra e pace, Platon Karataev.
2 L. Scaraffia, La rosa rossa: mistica e politica in Rosa Luxemburg, in La natura nel pensiero femminile del Novecento, a cura di I. Adinolfi, L. Scaraffia, Genova, il melangolo, 2023, pp. 39-49.
3 M.C. Sala, La militante protesa verso «tutto il mondo ridente dei fenomeni», in «NoteBlock», 26 luglio 2019.
Foto di Stefano Gallerini.
Ora è sparita anche la Rosa rossa, non si sa dov’è sepolta.
Siccome ai poveri ha detto la verità
I ricchi l’hanno spedita nell’aldilà.
Qui giace sepolta
Rosa Luxemburg
Un’ebrea polacca
Che combatté in difesa dei lavoratori tedeschi
Uccisa
Dagli oppressori tedeschi.
Oppressi
Seppellite la vostra discordia.
Bertolt Brecht
Rosa Luxemburg (1871-1919).
Fonte della foto: https://revolucionvoxpopuli.files.wordpress.com/2019/01/luxemburg.jpg
Dalla rivista «Jacobin Italia»
di Marcello Musto*
Scritto nel 2021 in occasione dei 150 anni dalla nascita di Rosa Luxemburg, questo breve saggio illustra le tappe fondamentali della sua vita e le principali linee di sviluppo della sua azione politica e della sua elaborazione teorica.
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Rosa Luxemburg, politica e teorica del marxismo
Rosa Luxemburg nasceva 150 anni fa. Si sentiva a casa sua «in tutto il mondo, ovunque ci siano nubi e uccelli e lacrime umane», innovò il marxismo e capì che la classe operaia doveva lottare contro la guerra e la militarizzazione della società
Quando nell’agosto del 1893, al Congresso di Zurigo della Seconda internazionale, dalla presidenza dell’assemblea fu menzionato il suo nome, Rosa Luxemburg si fece spazio senza indugiare tra la platea di delegati e militanti che riempivano la sala stracolma. Era una delle poche donne presenti al consesso, ancora giovanissima, di corporatura minuta e con una deformazione all’anca che la costringeva a zoppicare sin dall’età di cinque anni. Nei presenti, il suo apparire sembrò destare l’impressione di trovarsi dinanzi a una persona fragile.
La questione nazionale
Stupì tutti, invece, quando, dopo essere salita su una sedia, per farsi ascoltare meglio, riuscì ad attirare l’attenzione dell’intero uditorio, sorpreso dall’abilità della sua dialettica e affascinato dall’originalità delle sue tesi. Per la Luxemburg, infatti, la rivendicazione centrale del movimento operaio polacco non doveva essere la costruzione di una Polonia indipendente, come veniva ripetuto all’unanimità. La Polonia era ancora tripartita tra gli imperi tedesco, austro-ungarico e russo; la sua riunificazione risultava di difficile attuazione, mentre ai lavoratori andavano prospettati obiettivi realistici che avrebbero dovuto generare lotte pratiche nel nome di bisogni concreti.
Con un ragionamento che sviluppò negli anni a venire, ammonì quanti enfatizzavano la tematica nazionale, convinta che la retorica del patriottismo sarebbe stata pericolosamente utilizzata per indebolire la lotta di classe e relegare in secondo piano la questione sociale. Alle tante oppressioni patite dal proletariato non occorreva aggiungere anche «l’asservimento alla nazionalità polacca». Per fare fronte a questa insidia, la Luxemburg auspicò la nascita di autogoverni locali e il rafforzamento delle autonomie culturali che, una volta instaurato il modo di produzione socialista, avrebbero fatto da argine al possibile ripresentarsi di rigurgiti sciovinistici e ad altre nuove discriminazioni. Attraverso l’insieme di queste riflessioni, distinse la questione nazionale da quella dello Stato nazione.
Un’esistenza controcorrente
L’episodio del Congresso di Zurigo simboleggia l’intera biografia intellettuale di colei che va annoverata tra i più significativi esponenti del socialismo novecentesco. Nata 150 anni fa, il 5 marzo del 1871, a Zamość, nella Polonia sotto occupazione zarista, Luxemburg trascorse la sua esistenza ai margini, lottando contro numerose avversità e andando sempre controcorrente. Di origini ebraiche, disabile per tutta la vita, all’età di ventisei anni si trasferì in Germania, dove riuscì a ottenere la cittadinanza solo grazie a un matrimonio combinato. Pacifista convinta al tempo della Prima guerra mondiale, venne incarcerata più volte per le sue idee. Fu ardente nemica dell’imperialismo durante una nuova e violenta stagione coloniale. Si batté contro la pena di morte nel mezzo della barbarie. Soprattutto, fu una donna e visse in mondi abitati così esclusivamente da soli uomini. Fu spesso l’unica presenza femminile sia all’Università di Zurigo, dove conseguì il dottorato nel 1897 con una tesi su Lo sviluppo industriale della Polonia, che tra i dirigenti del Partito socialdemocratico tedesco. In quest’ultimo venne nominata prima insegnante donna della scuola centrale di formazione dei quadri – incarico ricoperto tra il 1907 e il 1914, periodo nel quale elaborò il progetto incompiuto di scrivere una Introduzione all’economia politica (1925) e pubblicò L’accumulazione del capitale (1913).
A queste difficoltà si aggiunsero il suo spirito indipendente e la sua autonomia – una virtù spesso penalizzante anche nei partiti politici di sinistra. Con la sua vivida intelligenza, Luxemburg aveva la capacità di elaborare nuove idee e di saperle difendere, senza alcuna timorosa riverenza e, anzi, con una schiettezza disarmante, al cospetto di figure del calibro di August Bebel o Karl Kautsky che avevano avuto il privilegio di formarsi attraverso il contatto diretto con Engels. Il suo fine non fu quello di ripetere le parole di Marx, ma di interpretarle storicamente e, ove necessario, ampliare la sua analisi. Manifestare liberamente la propria opinione ed esercitare il diritto di esprimere posizioni critiche all’interno del partito furono per lei esigenze irrinunciabili. Il partito doveva essere uno spazio dove potevano convivere posizioni diverse, se quanti vi aderivano avevano in comune i suoi principi fondamentali.
Partito, sciopero, rivoluzione
Riuscì a superare i tanti ostacoli incontrati e, in occasione della svolta riformista di Eduard Bernstein e dell’acceso dibattito che ne seguì, divenne figura nota nella principale organizzazione del movimento operaio europeo. Se, nel celebre testo I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia (1897-99), Bernstein aveva invitato il partito a recidere i ponti con il passato e a trasformarsi in una mera forza gradualista, nello scritto Riforma sociale o rivoluzione? (1898-99) la Luxemburg replicò fermamente che, in ogni periodo della storia, «il lavoro di riforma sociale si muove solo nella direzione e per il tempo corrispondenti alla spinta che gli è stata impressa dall’ultima rivoluzione». Quanti ritenevano di riuscire a conseguire nel «pollaio del parlamentarismo borghese» gli stessi cambiamenti che la conquista rivoluzionaria del potere politico avrebbe reso possibile, non avevano scelto una «via più tranquilla e più sicura verso la stessa meta, ma, piuttosto, un’altra meta». Avevano accettato il mondo borghese e la sua ideologia.
Il punto non era migliorare l’ordine sociale esistente, ma costruirne uno del tutto differente. Il ruolo dei sindacati – che potevano strappare ai padroni solo condizioni più favorevoli all’interno del modo di produzione capitalistico – e la Rivoluzione Russa del 1905 le diedero la possibilità di meditare su quali potessero essere i soggetti e le azioni in grado di determinare una trasformazione radicale della società. Nel libro Sciopero generale, partito e sindacati (1906), analizzando i principali avvenimenti succedutisi in vaste aree dell’impero russo, mise in risalto l’importanza fondamentale degli strati più larghi del proletariato, generalmente non organizzati. Per lei erano le masse le vere protagoniste della storia. Osservò che in Russia «l’elemento della spontaneità» (concetto per il quale fu accusata di avere sopravvalutato la coscienza di classe presente nelle masse) era stato rilevante e che, pertanto, il ruolo del partito non doveva essere quello di preparare lo sciopero, ma di mettersi alla «guida politica di tutto il movimento».
Per la Luxemburg, lo sciopero di massa è «il polso vivente della rivoluzione e, al tempo stesso, ne è la più potente ruota motrice». Esso è la vera e propria «forma di manifestazione della lotta proletaria nella rivoluzione». Non è un’azione singola, ma il momento riassuntivo di un lungo periodo di lotta di classe. Non si poteva trascurare, inoltre, che «nella tormenta del periodo rivoluzionario si modifica il proletariato, per cui persino il bene più alto, la vita, per tacere del benessere materiale, possiede un valore minimo in confronto all’ideale di lotta». I lavoratori acquisivano coscienza e maturità. Ciò era testimoniato dagli scioperi di massa in Russia, passati «del tutto inavvertitamente dal terreno economico a quello politico, cosicché era quasi impossibile tracciare una linea di confine tra i due».
Comunismo significa libertà e democrazia
Sul tema delle forme dell’organizzazione politica e, più specificamente, sul ruolo del partito, in quegli anni, Luxemburg fu protagonista di un altro violento contrasto, questa volta con Lenin. Nel testo Un passo avanti, due passi indietro (1904) il leader bolscevico difese le scelte prese al secondo congresso del Partito operaio socialdemocratico russo e concepì il partito come un nucleo compatto di rivoluzionari di professione, un’avanguardia che doveva guidare le masse. Luxemburg obiettò in Problemi di organizzazione della socialdemocrazia russa (1904) che un partito estremamente centralizzato generava una dinamica molto pericolosa: «l’obbedienza cieca dei militanti all’autorità centrale». Il partito doveva sviluppare la partecipazione sociale, non soffocarla, «mantenere vivo il giusto apprezzamento per le forme di lotta». Marx aveva scritto che «ogni passo del movimento reale era più importante di una dozzina di programmi». Luxemburg estese questo postulato e affermò che «i passi falsi che compie un reale movimento operaio sono, sul piano storico, incommensurabilmente più fecondi e più preziosi dell’infallibilità del migliore comitato centrale».
Questa polemica acquisì ancora maggiore rilevanza dopo la rivoluzione sovietica del 1917, alla quale lei offrì il suo appoggio incondizionato. Preoccupata dagli eventi che si susseguivano in Russia (a partire dalle modalità con le quali si cominciò ad affrontare la riforma agraria), la Luxemburg fu la prima, nel campo comunista, a osservare che un «regime di prolungato stato d’assedio» avrebbe esercitato «un’influenza degradante sulla società». Nello scritto postumo La rivoluzione russa (1922 [1918]) ribadì che la missione storica del «proletariato giunto al potere» era quella di «creare una democrazia socialista al posto della democrazia borghese, non di distruggere ogni forma di democrazia». Per lei comunismo significava una «più attiva e libera partecipazione delle masse popolari in una democrazia senza limiti» che non contemplava capi infallibili a guidarle. Un orizzonte politico e sociale veramente diverso sarebbe stato raggiunto soltanto attraverso questo complicato processo e non se l’esercizio della libertà fosse stato «riservato solo ai partigiani del governo e ai membri di un partito unico».
Fu fermamente convinta che «il socialismo, per sua natura, non può essere elargito dall’alto». Esso avrebbe dovuto espandere la democrazia, non ridurla. Affermò che si poteva «decretare ciò che è negativo, la distruzione, ma non ciò che è positivo, la costruzione». Questo era un «terreno vergine» e soltanto «l’esperienza avrebbe potuto correggere e aprire nuove vie». La Lega di Spartaco – nata nel 1914, dopo la rottura con il Partito socialdemocratico tedesco, e divenuta poi Partito comunista tedesco – avrebbe preso il potere solo «mediante la chiara e indubitabile volontà della grande maggioranza delle masse proletarie di tutta la Germania».
Pur praticando opzioni politiche opposte, socialdemocratici e bolscevichi avevano entrambi erroneamente concepito democrazia e rivoluzione come due processi tra loro alternativi. Al contrario, il cuore della teoria politica della Luxemburg era incentrato sulla loro indissolubile unità. Il suo lascito venne schiacciato proprio tra queste due forze: i socialdemocratici, complici del suo brutale assassinio, avvenuto a soli 47 anni per mano delle milizie paramilitari, la combatterono senza esclusione di colpi per gli accenti rivoluzionari delle sue riflessioni, mentre gli stalinisti si guardarono bene dal diffonderne l’eredità a causa del carattere critico e libertario del suo pensiero.
Contro il militarismo, la guerra e l’imperialismo
L’altro cardine dei suoi convincimenti e della sua militanza fu il binomio opposizione alla guerra e agitazione antimilitarista. Su questi temi la Luxemburg fu capace di ammodernare il bagaglio teorico della sinistra e di fare approvare chiaroveggenti risoluzioni ai congressi della Seconda internazionale che, se non fossero state ignorate, avrebbero intralciato i piani orditi dai fautori del primo conflitto bellico mondiale. La funzione degli eserciti, il costante riarmo e il ripetersi delle guerre non dovevano essere intesi solo mediante le categorie classiche dell’Ottocento. Si trattava, come era stato più volte affermato, di forze che reprimevano le lotte operaie, di strumenti utili agli interessi della reazione e che, inoltre, producevano divisioni nel proletariato, ma essi rispondevano anche a una precisa finalità economica del tempo. Il capitalismo necessitava dell’imperialismo e della guerra, persino in epoca di pace, per accrescere la produzione, così come per conquistare, appena se ne presentavano le condizioni, nuovi mercati nelle periferie coloniali extra-europee. Come dichiarò in L’accumulazione del capitale, «la violenza politica non era che il veicolo del processo economico». A tale affermazione seguì una delle tesi più controverse della sua opera, ovvero che il riarmo fosse indispensabile per fronteggiare l’espansione produttiva del capitalismo.
Era uno scenario molto diverso dalle ottimistiche rappresentazioni dei riformisti e, per descriverlo al meglio, Luxemburg utilizzò uno slogan destinato ad avere grande successo: «Socialismo o barbarie». Spiegò che quest’ultima si sarebbe potuta evitare solo grazie alla lotta consapevole delle masse e, poiché l’opposizione al militarismo richiedeva una forte coscienza politica, fu tra i più convinti sostenitori dello sciopero generale contro la guerra – un’arma che molti a sinistra, Marx compreso, sottovalutarono. Il tema della difesa nazionale doveva essere usato contro i nuovi scenari bellici e la parola d’ordine «guerra alla guerra!» doveva diventare «il punto cruciale della politica proletaria». Come scrisse in La crisi della socialdemocrazia (1916), nota anche con il titolo di Juniusbroschüre, la Seconda internazionale era implosa per non essere riuscita a «realizzare una tattica e un’azione comune del proletariato in tutti i paesi». Pertanto, da quel momento in avanti, il proletariato doveva avere come «scopo principale», anche in tempo di pace, quello di «lottare contro l’imperialismo e di impedire le guerre».
Senza perdere la tenerezza
Cosmopolita, cittadina di «ciò che verrà», disse di sentirsi a casa sua «in tutto il mondo, ovunque ci siano nubi e uccelli e lacrime umane». Appassionata di botanica e amante degli animali, come traspare dalla lettura del suo epistolario, fu una donna di straordinaria sensibilità, che rimase in lei intatta nonostante le amare esperienze riservatele dalla vita. Per la co-fondatrice della Lega di Spartaco la lotta di classe non si esauriva con l’aumento del salario. Luxemburg non volle essere una mera epigona e il suo socialismo non fu mai economicista.
Immersa nei drammi del suo tempo, cercò di innovare il marxismo senza porne in questione le fondamenta. Il suo tentativo è un monito costante per le forze di sinistra, affinché non limitino la loro azione politica al conseguimento di blandi palliativi e non rinuncino all’idea di mutare lo stato di cose esistenti. Il modo in cui visse, la capacità con la quale riuscì a realizzare parallelamente elaborazione teorica e agitazione sociale, sono una lezione straordinaria, inalterata nel tempo, che parla alla nuova generazione di militanti che ha scelto di continuare le tante battaglie da lei intraprese.
6 Marzo 2021
Marcello Musto*
(Tratto da: Marcello Musto, Tanti auguri Rosa Luxemburg, in https://jacobinitalia.it/tanti-auguri-rosa-luxemburg/ [visitato il 06/07/2023]).
* Marcello Musto è professore di Sociologia presso la York University di Toronto. Le sue pubblicazioni, tradotte in oltre venti lingue, sono disponibili su www.marcellomusto.org.
Inserito il 07/07/2023.