Clara Zetkin (1857-1933).
Fonte della foto: https://ilmitte.com/2022/03/clara-zetkin-eroina-della-parita-di-genere-ma-contro-il-femminismo-borghese/zetkin_clara/
Dalla rivista «Diacronie», in journals.openedition.org
di Jacopo Romano
Presentiamo un estratto da un breve saggio biografico sulla rivoluzionaria tedesca Clara Zetkin, attiva tra Ottocento e Novecento nell’ambito del femminismo di classe e nella lotta contro la guerra imperialista e il nazifascismo.
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Contro la guerra, contro il fascismo.
Clara Zetkin tra lotte e memoria
di Jacopo Romano
[…]
Cenni biografici
Clara Eisner nacque nella cittadina sassone di Widerau, nel 1857. Durante le scuole magistrali, che frequentò dai 17 ai 21anni, a Lipsia, entrò in contatto con alcuni studenti russi, tra cui Ossip Zetkin (suo futuro marito), che militava nella socialdemocrazia tedesca. In seguito alle repressioni antisocialiste, avviate dal cancelliere Otto von Bismarck a partire dal 1878, sia lei che Zetkin lasciarono la Germania, ritrovandosi a Parigi nel 1882, dove si sposarono nel novembre dello stesso anno1. Nella capitale francese la Zetkin conobbe importanti marxisti come Jules Guesde, profughi socialisti e anarchici di vari paesi europei e prese parte a diverse manifestazioni operaie2. Nonostante gli ostacoli legislativi, il socialismo cresceva in Germania e in altri paesi europei.
Nel 1889 venne fondata a Parigi la II Internazionale, che per Zetkin rappresentò «il primo intervento importante sulla scena internazionale del movimento operaio e l’avvio di un’organizzazione internazionale del movimento femminile proletario»3. Clara diede un apporto centrale allo sviluppo dell’Internazionale fino allo scoppio della prima guerra mondiale, contribuendo sia ai lavori preparatori sia come delegata delle donne socialiste berlinesi4. Nel 1890, dopo la revoca delle leggi antisocialiste, fece ritorno in Germania, per diventare, un anno dopo, redattrice del giornale socialdemocratico «Die Gleichheit» [L’uguaglianza].
Nel 1893, in occasione del III Congresso della II Internazionale, incontrò Friedrich Engels, che divenne un suo estimatore5. Nel 1896 diede un contributo importante al Congresso di Gotha della Spd. Nel corso di altri convegni di partito (nel 1898 e nel 1899), lei e Rosa Luxembourg lottarono molto energicamente per condurre il loro partito politico a contrastare ed ostacolare la corrente riformista di Eduard Bernstein6. Per la Zetkin, quest’ultimo
rigetta il concetto di catastrofe dell’ordinamento sociale ed economico del capitalismo quale presupposto imprescindibile per [la] società socialista e spera in un graduale, frammentario contrabbando del socialismo dentro la società capitalistica attraverso riforme sociali, nascita di sindacati […] non tanto un mezzo per abbattere il capitalismo, quanto invece un mezzo per rafforzarlo attraverso l’imborghesimento del proletariato.7
Con l’avanzare dello spettro della prima guerra mondiale, Clara Zetkin abbracciò l’antimilitarismo, opponendosi anche a esponenti del suo stesso partito che si dichiaravano disponibili a votare i crediti di guerra e a «battersi in difesa della patria»8. Durante il primo conflitto mondiale si avvicinò quindi ai dissidenti spartachisti e, dal 1919, incontrò più volte Lenin (che conosceva da oltre un decennio)9. Il pensiero del rivoluzionario russo era visto dalla Zetkin come particolarmente vicino non solo per gli ideali comunisti, ma anche per quanto concerneva i diritti delle donne. Il leader comunista, oltre a ritenere l’eguaglianza della donna come carattere imprescindibile del comunismo, era per Clara anche un uomo consapevole dell’importanza che ricoprivano le donne nelle attività comuniste e di quanto la loro inclusione fosse per certi aspetti determinante. Nel gennaio 1925, ad un anno dalla morte di Lenin, Clara Zetkin cominciava uno scritto di alcune pagine in questo modo:
Il compagno Lenin mi ha spesso parlato della questione femminile. Le riconosceva una grande importanza, poiché il movimento femminile era per lui parte costitutiva e, in certe condizioni, parte decisiva del movimento delle masse. È inutile dire che egli considerava la piena eguaglianza sociale della donna come un principio indiscutibile del comunismo. […] Ero entusiasta di tutto quello che le donne russe avevano fatto durante la rivoluzione, di tutto quello che ancora facevano per difenderla e per aiutarla a svilupparsi. Quanto alla posizione e all’attività delle donne nel partito bolscevico, mi sembrava che, da questo lato, il partito si mostrasse all’altezza del suo compito.10
Con la comparsa del fascismo, divenne presidente del Soccorso Rosso Internazionale, nel 1924, strumento mondiale deputato ad assistere le «vittime della reazione e del fascismo»11. Il 30 agosto del 1932, in quanto deputata più anziana, tenne il discorso di apertura del Reichstag, prima che Hermann Göring ne assumesse la presidenza. Lanciò un appello a comunisti e socialdemocratici: unirsi in un unico fronte per contrastare il partito nazionalsocialista12. Questo discorso dimostrò il coraggio e le convinzioni di Clara, che non si tirò indietro di fronte al pericolo nazista, nonostante la forza di quest’ultimo e la sua pericolosità. Infatti, alle elezioni del 31 luglio 1932, il Partito nazionalsocialista passò da 107 seggi di 2 anni prima a 230. La Zetkin, pur non partecipando alla campagna elettorale, venne eletta nella lista della Kpd (Partito comunista di Germania) del Württemberg. Quell’anno fu caratterizzato, ogni domenica, da scontri tra le SA naziste e i militanti di sinistra. Alla Kpd arrivò una lettera, firmata «Un nazionalsocialista», che minacciava direttamente la Zetkin: se lei avesse avuto «l’impudenza di inaugurare la seduta del Reichstag» sarebbe stata afferrata «per le orecchie» e cacciata dal Reichstag «a pedate»13. I giornali nazionalsocialisti e di destra scrivevano di lei accusandola di alto tradimento, nominandola con espressioni come «ebrea comunista» e «moscovita». Il giornale di Goebbels utilizzava il termine «donnaccia»14.
Lei tornò da Mosca alla fine di agosto, molto debole e quasi cieca. Il 30, in un parlamento pieno di deputati nazionalsocialisti con le uniformi delle SA e delle SS, fece un discorso in cui denunciava il «terrore» nazista, la «codardia» dei liberali e «la passività di gran parte dei lavoratori». La soluzione per una Germania in preda al nazismo era, per Clara, il modello sovietico, dove i lavoratori erano abbastanza maturi da aver creato «un nuovo ordine economico al riparo dalle crisi disastrose», grazie alla eliminazione della proprietà dei mezzi di produzione, che era la «causa del sistema anarchico di produzione»15. Nonostante questa difesa del comunismo sovietico, quello che per Badia fu il punto «più alto» del discorso al Reichstag consistette nell’appello a mettere «in secondo piano le differenze politiche, sindacali, religiose ed ideologiche» per contrastare il «fascismo» e le «organizzazioni degli schiavi dello sfruttamento». Rivolgendosi alle donne, ancora gravate dalle «catene della schiavitù del loro sesso», disse che dovevano prestare il loro contributo a questo fronte unificato. Anche un giornale di destra riconobbe coerenza in questo suo discorso, discorso che venne ascoltato da «Amici e nemici»: era necessario «sopportarla anche se ha convinzioni inaccettabili»16. Decise poi di ritornare in Unione Sovietica, dove morì il 20 giugno del 1933 in un sanatorio ad Archangelskoje, vicino a Mosca17. I suoi resti vennero tumulati nel Cremlino18.
L’antimilitarismo
Dal 1890 al primo dopoguerra, l’esperienza politica di Clara Zetkin fu contraddistinta dall’antimilitarismo, nonostante che la politica della socialdemocrazia tedesca andasse in un’altra direzione. Mentre i socialdemocratici mostrarono una «complicità» verso l’imperialismo tedesco19, Clara Zetkin manifestava le sue opinioni contro la Seconda guerra boera (1899-1902) in Gran Bretagna, conflitto che fu sostenuto anche da alcuni socialisti. Frase chiave del suo intervento fu «Guerra contro la guerra», vale a dire una chiamata all’azione piuttosto che ad una opposizione passiva20.
La sua visione era originale anche rispetto ai socialisti che, come lei, si opponevano alle guerre, perché andava oltre gli schemi ideologici e integrava la questione con argomentazioni di genere. La civiltà non rappresentava le realizzazioni di una élite istruita, ma era insita nella funzione biologica delle donne. La perdita dei mariti, figli e fratelli rendeva le donne vittime della guerra […].
Nel 1907 ebbe uno scontro molto acceso con Gustav Noske quando egli, nel corso del Congresso di Essen, esternò la sua disponibilità a combattere per il proprio paese minacciato21. A Copenhagen, nel 1910, fece passare una risoluzione che sottolineava il dovere, da parte di «tutte le compagne», di ricordare le risoluzioni ostili al conflitto votate al Congresso internazionale di Stoccarda e di educare i figli alla pace22. Effettivamente, nel corso del Congresso del 1907, Rosa Luxemburg, Vladimir Lenin e Julij Osipovic Cederbaum Martov avevano fatto passare un emendamento, a cui si oppose la maggioranza dei delegati tedeschi, che prevedeva, nel caso di conflitto, una opposizione dei socialdemocratici allo stesso e di «sfruttare la violenta crisi economica e politica prodotta dalla guerra per sollevare la popolazione» e velocizzare «l’abolizione del dominio di classe capitalistico»23.
Per il 1ᵒ maggio del 1913, Clara Zetkin scrisse un editoriale dal titolo Noi siamo la forza che vedeva come obiettivo principe della manifestazione la denuncia della corsa agli armamenti e della propaganda favorevole alla guerra24. Nel dicembre dello stesso anno, i suoi energici pensieri internazionalisti di pace e fratellanza comparvero sulle pagine di «The Labour Woman»25. Si tratta di un documento che, almeno per chi scrive, rende davvero in modo eccezionale le consapevolezze della Zetkin sugli effetti catastrofici di un conflitto internazionale, sui progressi letali di alcune armi che contraddistingueranno la Prima guerra mondiale e sull’odio che il nazionalismo riusciva a veicolare in numerosi paesi. Il suo intervento, vero e proprio appello alle socialiste britanniche, aveva l’emblematico titolo Le donne tedesche alle loro sorelle in Gran Bretagna. Aveva agito come segretaria internazionale delle donne socialiste, ed a nome delle socialiste tedesche inviava alle socialiste britanniche un messaggio di pace, fraternità e libertà. Il testo proseguiva citando le guerre nei Balcani, che erano ancora fresche negli animi di lei e delle sue compagne: il sangue di uomini che si assassinavano tra loro con armi da fuoco, città e villaggi devastati dalle fiamme, mutilazioni, i pianti di madri, sorelle e bambini, privati dei loro legami affettivi e di un sostegno per la famiglia albergavano dentro di loro26.
Gli uomini erano qui definiti «capifamiglia», per sottolineare anche i problemi economici che sorgevano nelle famiglie che li perdevano al fronte. Proseguiva sottolineando che le popolazioni europee si trovavano sempre più vicine al «terribile abisso di una guerra gigantesca che il mondo non ha mai visto prima»27. Le classi dirigenti del continente sprecavano infatti il denaro sottratto alle tasche dei lavoratori nelle caserme, artiglieria da campo e navale, e per ogni altro più possibile perfetto strumento volto all’assassinio e alla distruzione massificate in terra, cielo e aria28. Migliaia di giovani venivano esercitati per essere i «Caini dei loro fratelli stranieri»29. Come fanno, si chiedeva, le classi dirigenti a convincere le masse che sacrifici umani e materiali siano necessari? Propagandando continuamente la necessità dell’odio tra le nazioni e quanto sia interesse vitale per le stesse disporre di eserciti e marine da guerra numerosi. Proseguiva affermando che i tedeschi, come i britannici, non dovevano essere identificati con gli […] ufficiali e gli industriali bellici che hanno interesse nella guerra, ma con i milioni di uomini e donne che facevano una vita dura e che stavano giungendo alla consapevolezza che i nemici non erano fuori dai confini, ma radicati nelle istituzioni capitalistiche che li governavano30.
In conclusione, la militante tedesca esortava a combattere contro tutti i pregiudizi nazionalisti e ad una «guerra santa» volta ad emancipare i lavoratori. Se il capitalismo era una guerra sociale di tutti contro tutti, la guerra di classe dei lavoratori significava la fraternità tra i lavoratori di tutti i paesi31.
I mesi che precedettero l’agosto del 1914 videro, in opposizione al diffuso nazionalismo favorevole alla guerra, molte attività di segno contrario da parte della Zetkin e della fazione socialdemocratica più di sinistra32. Come emerge dal testo Le sovversive, infatti, i socialdemocratici in Germania (come negli altri paesi) abbracciarono in maggioranza il “socialpatriottismo” nel 1914. Il suo obiettivo divenne quello di contrastare questa svolta socialdemocratica e di battersi per la salvaguardia dei valori rivoluzionari ed internazionalisti33. Raggiunse così Bruxelles alla fine di luglio, per prendere parte alla riunione dell’Ufficio politico del socialismo internazionale e tentare di ottenere dai delegati iniziative importanti, ma non ebbe seguito. Tornata in Germania seppe dell’ordine del Kaiser di mobilitazione generale e, il 4 agosto, fu informata telefonicamente che la Spd aveva votato i crediti di guerra. Mesi dopo scrisse che la notizia la portò al pensiero del suicidio34.
La votazione della Spd provava per lei che «l’imperialismo ha piegato al servizio dei propri obiettivi tutte le forze del proletariato». Scrisse della censura e della svolta «nazionalista e sciovinista» di gran parte di stampa socialdemocratica, pur sentendosi sorvegliata dalle autorità. Resisteva con il suo giornale «Die Gleichheit», controllato e ostacolato nelle uscite e distribuzioni35.
Anche alcuni anni dopo, in occasione del XVIII Congresso del Partito socialista italiano, la Zetkin non mancò di condannare l’operato di numerosi socialisti nel 1914. Quell’anno si verificò quello che lei definì «il passaggio della socialdemocrazia dal campo del proletariato internazionale, della rivoluzione, nel campo degli imperialisti nazionali, della “difesa della patria!”»36. La socialdemocrazia divenne, per lei, un partito “borghese” votato alle riforme sociali. Le risoluzioni della II Internazionale, comprese quelle dei Congressi di Stoccarda, Copenhagen e Basilea volte ad ostacolare il conflitto mondiale, divennero, allo scoppio dello stesso, dei «pezzi di carta senza valore»37.
Che impatto ebbe il conflitto sui legami di Clara Zetkin con le donne socialiste di altre nazionalità?
John Partignon ha lavorato sulle stampe socialiste e laburiste britanniche riguardanti due congressi socialisti per la pace (1912, 1915) che ebbero un apporto fondamentale di Clara Zetkin. Lei era in quel periodo segretaria della Socialist Women’s International, antimilitarista e socialista nella Germania nemica dei britannici: rappresentava per molte socialiste britanniche contrarie alla guerra «il punto di riferimento», una voce di buonsenso in un contesto di crisi internazionali e prova vivente «che un’unità d’intenti politica poteva attraversare i campi di battaglia»38. A guerra appena scoppiata, pensò subito a convocare in clandestinità una conferenza internazionale delle donne e, supportata da compagne straniere, fece arrivare messaggi a socialiste di vari paesi. Si incontrarono con lei a Berna donne provenienti da Germania, Gran Bretagna, Russia, Italia, Polonia e Svizzera39. Lei e la maggioranza delle delegate (a differenza delle russe e delle polacche) adottarono una risoluzione che condannava il conflitto senza esplicitare una condanna per i partiti socialisti che aderivano ad esso. All’unanimità passò un appello alle donne di tutti i paesi in guerra, scritto dalla stessa Zetkin e poi fatto circolare clandestinamente in tutti i paesi coinvolti. Nel testo rappresentava gli uomini combattenti come zittiti, snaturati e privati della coscienza da parte del capitalismo dedito alla «conquista di territori», che mascherava la sua guerra con la difesa della patria. Era compito delle donne, per il bene dei loro cari costretti a morire e a essere uccisi, agire contro il «capitalismo e le sue stragi di esseri umani sacrificati alla ricchezza e al potere dei possidenti!»40. La conferenza fece incontrare per la prima volta le socialiste dei paesi in guerra e incoraggiò tutte le pacifiste41. Il «Labour Leader» fu il primo giornale a riportare la dichiarazione congiunta della Conferenza di Berna che, pur essendo frutto delle differenti sensibilità delle partecipanti, fece emergere le posizioni della Zetkin42. Tale dichiarazione sottolineava che la guerra aveva annullato inestimabili doni della civiltà e che aveva ostacolato il progresso dei più nobili ideali con delle barriere di barbarie43. Alla fine del conflitto, i paesi si sarebbero trovati prosciugati delle loro forze vitali, con le loro risorse economiche decimate e i loro progressi in campo sociale ritardati in modo indeterminato. Riferendosi alla propaganda nazionalista, la dichiarazione aggiungeva che «le calunnie e gli insulti disonorano ogni nazione e nascondono ciò che ciascuna di esse ha donato alla comune civiltà mondiale»44.
Per la prima volta dall’inizio della guerra veniva fatto esplicito riferimento all’interruzione della lotta di classe, operata dal conflitto mondiale, che aveva sostituito la fratellanza internazionale dei lavoratori con un fratricidio internazionale45.
Come nel precedente riferimento alle guerre nei Balcani, l’antimilitarismo della Zetkin (e delle sue compagne straniere) non si limitava quindi ad analizzare e condannare i tratti distintivi della guerra moderna come le morti, le mutilazioni, le devastazioni, ma anche quello che la stessa comportava in campo sociale, economico e nell’animo dell’umanità globalmente intesa.
La dichiarazione della Conferenza di Berna indicava alcune proposte per pacificare l’Europa. La ricetta consisteva in una pace senza annessioni o conquiste, in un riconoscimento dei diritti di popoli e dei paesi indipendentemente dalle loro dimensioni. La giustizia doveva occuparsi di punire determinate responsabilità dei belligeranti, senza però sfociare in umiliazioni46 [...].
Nel 1915, con il raffreddamento dell’entusiasmo nazionalista in Germania, molte donne, private anche del salario del marito al fronte, tornarono a lavorare nelle fabbriche. Furono le prime a manifestare, il 18 marzo del 1915, davanti al Reichstag47. Cominciò a farsi strada tra loro l’idea che la guerra e i maggiori oneri che ricadevano su di loro fossero in parte dovuti a errori o all’assenza dei “compagni maschi”. I testi della Zetkin accentuarono il loro carattere femminista con lo scoppio del conflitto mondiale48 e le socialdemocratiche manifestarono contro la linea del partito, che rispose il 15 febbraio del 1915 con lo scioglimento dell’ufficio femminile.
Anche le autorità si preoccuparono della Zetkin e il 20 luglio l’attivista venne arrestata con l’accusa di “alto tradimento”. Fu interrogata sull’appello di Berna. Il partito inviò uno dei suoi due presidenti, Hugo Haase, a difenderla. Clara venne così rilasciata il 12 ottobre dello stesso anno, ufficialmente per motivi di salute, anche se stava relativamente bene. Secondo alcuni vi fu un patto tra la direzione della Spd e i pubblici poteri, poiché i secondi erano spaventati dal seguito che Clara aveva sulle donne e dalla possibilità che le iniziative per la sua scarcerazione aumentassero49. La Zetkin visse la detenzione nella prigione di Karlsruhe come periodo transitorio e naturale della propria battaglia, dopo il quale ricominciare a combattere50. Anche dopo la scarcerazione, come ha messo in luce Gilbert Badia analizzando la corrispondenza di Clara Zetkin negli archivi berlinesi, lei veniva ogni tanto sorvegliata da spie, sia in orari diurni che notturni51.
Nel 1917 si trovò costretta a lasciare la direzione del giornale «Die Gleichheit» a causa della incompatibilità delle sue posizioni ed azioni con la linea di partito52. La salute cagionevole non le impedì di partecipare, nel novembre del 1918, ai movimenti che portarono all’abolizione della monarchia e alla proclamazione della repubblica53. Il 17 novembre, pochi giorni dopo aver partecipato ai moti, scrisse a Rosa Luxemburg il suo punto di vista su quegli eventi. Riconosceva che la rivoluzione era partita da soldati e aveva rivendicazioni militari, ma essa si era, a suo avviso, evoluta in una «lotta politica rivoluzionaria contro il militarismo, contro il regime personale, per la democrazia politica».
La lettera proseguiva sottolineando come il militarismo e il «regime personale» non fossero più nemici ma «pilastri ben custoditi dell’ordine borghese»54. Esattamente una settimana dopo era invece Rosa Luxemburg a scrivere all’amica e compagna, confermandole la possibilità, precedentemente richiesta dalla Zetkin, di scrivere volantini per mobilitare le donne. Nella lettera la Luxemburg raccomandò a Clara Zetkin di essere breve con i testi, a causa della carenza di carta, e di parlare genericamente delle lavoratrici e della rivoluzione55. Un’altra lettera, datata 11 gennaio 1919, sempre scritta da Rosa Luxemburg alla Zetkin, ricordava la diversità degli spartachisti dal vecchio partito e la loro genuinità56. Solo pochi giorni dopo questa lettera, il 15 gennaio del 1919, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht furono catturati dai miliziani nazionalisti dei Freicorps, che poi li assassinarono con un colpo alla nuca. I circoli di destra avevano messo da tempo una taglia su di loro, ma anche la stampa socialdemocratica esprimeva disprezzo verso i due attivisti. Karl Kautsky e Bernstein dichiararono che i due erano responsabili della loro sorte atroce57.
Contro i fascismi
Dagli anni del primo dopoguerra fino alla sua morte, avvenuta nel 1933, l’attivista tedesca dedicò le sue energie alla lotta contro i fascismi, il fascismo italiano prima e il nascente nazionalsocialismo tedesco poi. Nel mutato contesto politico, Clara sottolineò le analogie con la guerra del 1914-1918 e il militarismo che aveva lungamente combattuto.
Con la guerra, infatti, larghi strati della piccola e media borghesia si erano trovati «proletarizzati»; i piccoli contadini vertevano in condizioni disperate; ingegneri, liberi professionisti, scrittori e artisti erano in preda alla «miseria nera», mentre ufficiali e sottufficiali si trovarono disoccupati con la fine delle ostilità58. Tutti cercavano nuovi impieghi fissi e nuove posizioni sociali.
Ingrossavano le file dei fascisti «uomini e donne delusi dal mancato rinnovamento sociale conseguente ai grandi massacri del 1914-1918»59. Clara Zetkin definiva il fascismo come la «decomposizione dello Stato borghese» per eccellenza, causata dalle crisi del capitalismo. Il fascismo non si reggeva su caste elitarie ma su larghi strati sociali. Non andava confuso, come facevano (a suo parere) i socialisti riformisti, per una semplice reazione al bolscevismo sovietico60. Il fallimento dei comunisti in Europa facilitò, secondo lei, le adesioni a questi nuovi movimenti. Molte persone, secondo la Zetkin, non videro più il proletariato agente trasformatore della società, ma trasferirono la loro fiducia negli «individui più capaci, più energici, più intrepidi di tutte le classi, che si debbono raccogliere insieme in una comunità. Per i fascisti tale comunità è la nazione…»61.
La Zetkin si pronunciò anche nello specifico sul caso italiano, evidenziando come la grande guerra avesse facilitato e fosse alla base delle esperienze dei fascisti. L’industria pesante del settentrione, sorta celermente, aveva assicurato profitti straordinari grazie alla prima guerra mondiale ma, a causa della mancanza di carbone e acciaio nel paese, la sua crescita svanì in fretta, causando una crisi in campo industriale, commerciale e artigianale. Grandi masse di lavoratori e lavoratrici persero il lavoro, e si aggiungevano ai reduci in cerca di lavoro, ai mutilati, agli orfani e alle vedove bisognosi di assistenza. Fu questo il fertile terreno per Benito Mussolini, che aveva attraversato il «fiume di sangue della guerra mondiale» secondo Clara Zetkin62. Per lui, passato dal socialismo pacifista all’interventismo, il conflitto avrebbe fatto dell’Italia un paese capitalistico moderno. Nel 1919, Mussolini fondò a Milano il primo fascio di combattimento per garantire «agli eroi delle trincee ed ai lavoratori i frutti rivoluzionari di una guerra rivoluzionaria»63. Nel marzo del 1932, annotando in una lettera che il successo del nazionalsocialismo in Germania non era stato arginato dai comunisti, Clara rifletteva sul fatto che erano molti i proletari nazisti, delusi sia dai socialdemocratici che dai comunisti tedeschi. Tanti disoccupati militavano anche nei corpi paramilitari hitleriani64.
Lo Stato autoritario era la creatura e lo strumento dei fascisti volto a realizzare il loro ideale. Essi si dotarono di un programma pseudorivoluzionario per catturare l’attenzione delle masse ed i loro desideri e, allo stesso tempo, di gruppi paramilitari. Queste formazioni, sia nel contesto mussoliniano che in quello hitleriano, divennero ausiliari della polizia una volta che i loro capi presero il potere65. Clara Zetkin ammetteva la presenza di elementi rivoluzionari e antiborghesi all’interno del fascismo, ma li vedeva comunque come «prigionieri» di quelli reazionari. Nella sua analisi, la Zetkin sembra prevedere quello che accadde poco dopo la sua morte, il 30 giugno del 1934: l’eliminazione delle squadre d’assalto naziste, le SA, da parte hitleriana66.
Tornando alle riflessioni sul fascismo in Italia, Clara Zetkin sottolineava come esso, una volta giunto al governo, avesse tradito il suo programma originario. I fascisti avevano richiesto di rivedere i contratti statali per le forniture di guerra e l’avocazione allo Stato stesso dell’85% dei profitti di guerra ma, una volta al governo, le loro politiche andarono in direzione opposta67. Il parlamento insediò una commissione deputata all’esame dei contratti per le forniture di guerra, che avrebbe dovuto riferire alla Camera. Mussolini, con una delle sue prime decisioni, obbligò la commissione a riferire direttamente a lui e introdusse la reclusione fino a 6 mesi per la divulgazione dei risultati dell’indagine68. Il provvedimento salvò dalla compromissione numerosi capitalisti dell’industria pesante, che di Mussolini erano protettori e finanziatori. Le loro attività ricevevano miliardi dal regime per le loro forniture, mentre sulla «confisca dei profitti di guerra tacciono tutti i flauti fascisti»69. Da un punto di vista militare, i fascisti si erano precedentemente dichiarati desiderosi di innovazione: abolizione dell’esercito permanente, accorciamento del servizio, limitazione dell’esercito alla difesa del paese e non più a guerre imperialiste erano alcuni dei loro punti. In seguito, oltre alla mancata abolizione dell’esercito permanente, vi fu un aumento del tempo di servizio dagli 8 ai 18 mesi70. Aumentava, inoltre, il numero degli ufficiali di carriera. Gli armamenti, proseguiva la Zetkin, venivano potenziati in vista di grosse campagne imperialistiche: l’artiglieria, la flotta e l’aviazione conobbero uno sviluppo «eccezionale». Erano stati commissionati numerosi sommergibili ed incrociatori per la marina, mentre l’aviazione si apprestava ad incamerare nuovi aerei e nuove basi. L’industria pesante ricevette molto denaro per la produzione degli «apparecchi più moderni e di strumenti militari di sterminio»71.
Questo intervento della Zetkin è del 1924. Leggerlo non permette solo di toccare con mano la sua coerenza nella lotta contro tutto ciò che è bellicista, nazionalista, e pronto ad intercettare bisogni e desideri di ampi strati di popolazione per ottenerne il consenso, con programmi in gran parte modificati all’indomani della salita al potere. Esso mostra ancora una volta la sua lungimiranza. Alcuni anni dopo queste sue riflessioni, una volta che lei era deceduta, le nuove armi del regime furono protagoniste della campagna etiopica. Ancora dopo, la corsa agli armamenti ed il progresso tecnologico in campo bellico caratterizzarono il secondo conflitto mondiale. Armi molto potenti e letali uccisero, mutilarono e ferirono milioni di persone, sia militari che civili.
[…]
Jacopo Romano
(Estratto da: Jacopo Romano, Contro la guerra, contro il fascismo. Clara Zetkin tra lotte e memoria, in «Diacronie» [Online], N° 34, 2 | 2018, documento 11, Messo online il 29 juin 2018, consultato il 01 mai 2019. URL: https://journals.openedition.org/diacronie/8574; DOI: 10.4000/diacronie.8574, consultato il 29 giugno 2023; disponibile anche su: http://www.studistorici.com/2018/06/29/romano_numero_34/; la redazione di spaziocollettivo.org è intervenuta nella traduzione di alcune citazioni che nell’articolo erano date in inglese).
Note
1 Zetkin, Clara, La questione femminile e la lotta al riformismo, Milano, Mazzotta, 1977, pp. 3-4.
2 Ibidem.
3 Ibidem, pp. 4-5.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Ibidem, pp. 5-6.
7 Ibidem, p. 142.
8 Badia, Gilbert, Clara Zetkin. Femminista senza frontiere, Roma, Erre emme, 1994, p. 139.
9 Zetkin, Clara, La questione femminile e la lotta al riformismo, cit., pp. 7-8.
10 Zetkin, Clara, Lenin e il movimento femminile, Roma, Centro Rosso, 1977.
11 Zetkin, Clara, La questione femminile e la lotta al riformismo, cit., p. 8.
12 Gutiérrez, José, Alvarez, José, Kleiser B., Paul, Le sovversive, Roma, Erre emme, 1995, p. 195.
13 Badia, Gilbert, op. cit., p. 283.
14 Ibidem.
15 Ibidem, p. 284.
16 Ibidem, pp. 284-285.
17 Zetkin, Clara, La questione femminile e la lotta al riformismo, cit., p. 8.
18 Gutiérrez, José, Alvarez, José, Kleiser B., Paul, op. cit., p. 196.
19 Zetkin, Clara, La questione femminile e la lotta al riformismo, cit., p. 7.
20 Boxer, Marilyn J., Partington, John S. (a cura di), Clara Zetkin. National and international contexts, London, Socialist History Society, 2013, p. 23.
21 Badia, Gilbert, op. cit., p. 139.
22 Ibidem.
23 Ibidem, pp. 137-138.
24 Ibidem, p. 139.
25 Zetkin, Clara, «German Women to Their Sisters in Great Britain», in Marxists Internet Archive, URL: https://www.marxists.org/archive/zetkin/1913/12/sisters.htm [consultato il 15 settembre 2017].
26 Ibidem.
27 Ibidem.
28 Ibidem.
29 Ibidem.
30 Ibidem.
31 Ibidem.
32 Badia, Gilbert, op. cit., pp. 139-140.
33 Gutiérrez, José, Alvarez, José, Kleiser B., Paul, op. cit., p. 188.
34 Badia, Gilbert, op. cit., pp. 139-141.
35 Ibidem, pp. 142-143.
36 Zetkin, Clara (introduzione di), Walecki, Enrico (conclusione di), Il Partito socialista italiano sulla via del riformismo. Discorsi dei delegati della Internazionale comunista al 18. Congresso del PSI, Roma, Libreria editrice del Partito comunista d’Italia, 1921, pp. 34-35. Le virgolette sono presenti nel testo. Cfr. Ibidem, p. 35.
37 Ibidem, p. 35.
38 Boxer, Marilyn J., Partington, Johns S. (a cura di), op. cit., p. 22.
39 Badia, Gilbert, op. cit., pp. 144-145.
40 Ibidem, p. 146.
41 Ibidem, p. 147.
42 Boxer, Marilyn J., Partington, Johns S (a cura di), op. cit., p. 30.
43 Il testo, in lingua inglese, riporta le dichiarazioni della stessa Zetkin. Cfr. Ibidem, pp. 30-31.
44 Ibidem, pp. 30-31.
45 Ibidem, p. 31.
46 Ibidem.
47 Badia, Gilbert, op. cit., pp. 148-149.
48 Ibidem, pp. 149-150.
49 Ibidem, pp. 151-152.
50 Gutiérrez, José, Alvarez, José, Kleiser B., Paul, op. cit., pp. 189-190.
51 Badia, Gilbert, op. cit., pp. 153-154.
52 Gutiérrez, José, Alvarez, José, Kleiser B., Paul, op. cit., p. 190.
53 Ibidem, p. 191.
54 Ibidem, pp. 197-198. L’espressione «regime personale» potrebbe qui alludere alla monarchia tedesca impersonata dal Kaiser Guglielmo ІІ. Si tratta infatti di uno scritto del 17 novembre 1918 sulla Rivoluzione tedesca che, in quei giorni, portò alla abdicazione del Kaiser. Cfr. Ibidem.
55 Luxemburg, Rosa, Basso, Lelio (a cura di), Lettere 1893-1919, Roma, Editori Riuniti, 1979, p. 262.
56 Ibidem, p. 265.
57 Gutiérrez, José, Alvarez, José, Kleiser B., Paul, op. cit., p. 227.
58 Badia, Gilbert, op. cit., p. 278.
59 Ibidem, pp. 278-279.
60 Ibidem.
61 Ibidem, p. 279.
62 Ragionieri, Ernesto, Italia giudicata 1861-1945, ovvero la storia degli italiani vista da altri, Bari, Laterza, 1969, pp. 536-537.
63 Ibidem, p. 537.
64 Badia, Gilbert, op. cit., p. 282.
65 Ibidem, p. 280.
66 Ibidem, p. 279.
67 Ragionieri, Ernesto, op. cit., p. 546.
68 Ibidem.
69 Ibidem.
70 Ibidem, p. 547.
71 Ibidem, pp. 547-548.
Inserito il 30/06/2023.