Materiali per una rivoluzione culturale
Dal giornale «Il Fatto Quotidiano»
di Leonardo Bison
Il “distretto del tessile” terra di nessuno. Il comparto è rinato con capitali stranieri, bassi salari e zero diritti. Oggi è in crescita, le aziende sanzionate pagano e non chiudono mai.
Sociologo, storico, attivista, pubblicista e romanziere, William E.B. Du Bois fu uno dei protagonisti principali della scena pubblica statunitense della prima metà del XX secolo. La sua evoluzione intellettuale lo portò dagli Stati Uniti all’Africa, dall’URSS alla Cina, dagli studi sociologici alla fondazione della National Association for the Advancement of Colored People, dal panafricanismo all’adesione ai principi comunisti.
Oltre a due libri di e su Du Bois, riportiamo un discorso del leader del movimento per i diritti civili Martin Luther King – l’ultimo prima di essere assassinato – dedicato al sociologo e teorico afroamericano.
Dal giornale «Il Fatto Quotidiano»
di Angelo d’Orsi
Più profitti, meno diritti e sicurezza: il mercato miete morti sul lavoro
Nota introduttiva di Roberto Bianchi
Spartaco Lavagnini (Cortona, 1889 - Firenze, 1921) fu attivista del sindacato dei ferrovieri, figura importante del socialismo fiorentino e redattore del settimanale del PSI di Firenze «La Difesa»; avverso alla linea riformista di Filippo Turati, fondò il giornale «L’Azione comunista» e contribuì alla scissione di Livorno e alla nascita del Partito Comunista d’Italia.
Fu il primo segretario della sezione fiorentina del PCdI, fondata il 7 febbraio 1921; venti giorni dopo, il 27 febbraio, nel pieno delle violenze fasciste di quell’anno, alcuni appartenenti a una squadraccia nera fecero irruzione nella sede del giornale in Via Taddea e freddarono Spartaco Lavagnini con quattro colpi di pistola a bruciapelo.
A questo martire dell’antifascismo e del comunismo lo storico Andrea Mazzoni ha dedicato una preziosa ricerca pubblicata in questo volume di cui riportiamo la nota introduttiva.
di Aleksandra Kollontaj
In questo articolo uscito sulla «Pravda» il 17 febbraio 1913 Aleksandra Michajlovna Kollontaj sottolineava la differenza – o forse meglio dire che innalzava un muro – tra il movimento femminista borghese (le “suffragette”) e il movimento delle operaie socialiste:
«Qual è lo scopo delle femministe? Ottenere nella società capitalista gli stessi vantaggi, lo stesso potere, gli stessi diritti che possiedono adesso i loro mariti, padri e fratelli.
Qual è l’obiettivo delle operaie socialiste? Abolire tutti i tipi di diritti che derivano dalla nascita o dalla ricchezza. Per la donna operaia è indifferente se il suo padrone è un uomo o una donna.
[…] Per le donne borghesi, i diritti politici sono un modo più comodo e più sicuro per raggiungere i propri obiettivi in questo mondo basato sullo sfruttamento dei lavoratori. Per le operaie i diritti politici sono un passo nel cammino aspro e difficile che conduce al desiderato regno del lavoro».
La figura dello scrittore rivoluzionario tedesco Franz Jung viene indagata in un saggio della nostra amica Monica Lumachi (Rivolta e disincanto. Franz Jung e l’avanguardia tedesca, Roma, Editoriale Artemide, 2011), che gentilmente ci concede la possibilità di riprodurre alcune parti.
«Il nome di Franz Jung (1888-1963), rivoluzionario, scrittore, drammaturgo, giornalista e saggista, anzi Pamphletist, come egli si definisce, è poco noto in Italia, nonostante la sua parabola intellettuale all’insegna della rivolta non abbia mancato fino a oggi di catturare l’interesse di artisti e intellettuali soprattutto in Germania» (dalla quarta di copertina del volume).
Effettivamente Franz Jung è talmente ignorato in Italia che ad oggi (agosto 2023) non si è meritato nemmeno una voce sulla versione italiana di Wikipedia; ecco allora che il saggio di Lumachi acquista ancora più valore, perché contribuisce a gettare luce su un autore e sulle vicende letterarie di un periodo cruciale per la storia della Germania: gli anni della Prima guerra mondiale e quelli successivi, caratterizzati dal sorgere delle avanguardie artistiche e dalla crescita dello spirito di rivolta, che conduce all’insurrezione spartachista e alla sua repressione da parte della neonata Repubblica di Weimar.
Dunque Jung tra letteratura e impegno politico: in quel decennio egli fu prima espressionista, poi dadaista, poi scrittore proletario (proprio sull’onda di quel Proletkul’t sovietico teorizzato dal filosofo marxista “eretico” Aleksandr Bogdanov, cui dedicheremo altri articoli), e per la militanza attiva nelle file comuniste godette in varie occasioni e per più mesi dell’ospitalità delle patrie galere.
Riproduciamo, dal prezioso volume di Monica Lumachi, il secondo capitolo, dedicato al rapporto di Jung con il dadaismo tedesco, e l’inizio del terzo, nel quale si affronta la breve ma intensa stagione di produzione letteraria militante e agit-prop.
L.C.
C’è stato un tempo in cui la Cina rivoluzionaria era fonte di ispirazione per partiti, movimenti, studenti, operai, intellettuali, ecc. Della Cina si sapeva poco, se non che la rivoluzione vittoriosa seguita alla Lunga Marcia guidata da Mao Zedong aveva rimosso i rapporti feudali e sconvolto la vita del più popoloso Paese del mondo. Forse quel modello, della cui Rivoluzione Culturale arrivavano gli echi fin qua – anche attraverso il prezioso volume delle citazioni del Presidente Mao, il “Libretto rosso” –, attraeva anche perché se ne sapeva così poco.
Dell’influenza della Cina e della sua Rivoluzione Culturale tra metà anni Sessanta e metà anni Settanta si occupano i libri che presentiamo nella sezione Storia – Storie.
Invito alla lettura
🔴 recensione di Leandro Casini 🔴
Il secondo romanzo di una scrittrice che dà prova di un’autentica evoluzione compositiva e stilistica. Un’opera ambientata tra una Firenze incupita dalla cappa del Ventennio e una Parigi simbolo di libertà che non mancherà di assaggiare il duro tallone dell’occupazione nazista. Come la Storia irrompe nelle storie delle persone e delle famiglie sconvolgendole.
di Luciano Gruppi
Che fare?, che nella versione originale russa aveva come sottotitolo Problemi scottanti del nostro movimento, richiama il celebre omonimo romanzo di Nikolaj Černyševskij. Lenin lo scrisse tra la fine del 1901 e l’inizio del 1902, e in quello anno fu pubblicato a Stoccarda.
Il dirigente di punta del Partito operaio socialdemocratico russo vi delineò in modo sistematico la sua teoria dell’organizzazione e la strategia del partito rivoluzionario del proletariato.
Lenin proponeva la formazione di un partito rivoluzionario composto dall’avanguardia della classe operaia, in cui partecipano rivoluzionari di professione.
Egli riteneva che la classe operaia, spontaneamente, sarebbe arrivata solo ad una coscienza tradunionista, e che solo un partito rivoluzionario avrebbe potuto dirigere una rivoluzione socialista “scientifica”: secondo Lenin «la coscienza politica può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni. Il campo dal quale soltanto è possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi». Questa coscienza politica può essere portata cioè solo dal partito.
Luciano Gallino (1927-2015), sociologo tra i più autorevoli della nostra epoca, ha insegnato all’Università di Torino: si è occupato delle trasformazioni del lavoro e dei processi produttivi nell’epoca della globalizzazione.
Presentiamo qui due contributi: un consiglio di lettura di un suo importante libro sulla lotta di classe ai giorni nostri (quelli che la conducono, cioè le classi dominanti, vorrebbero farci credere che la lotta di classe è cosa vecchia e superata), e un’intervista sul neoliberismo, in cui si dice fra l’altro:
«Per il neoliberismo l’ineguaglianza, anche sfrenata e molto elevata, non è un male da curare. Piuttosto, è un aspetto indispensabile di un’economia ben funzionante, perché se ci sono molti ricchi, in base alla teoria del gocciolamento – che è una teoria per molti aspetti spudorata dal punto di vista scientifico – questi investono di più, consumano di più e quindi gli effetti benefici gocciolerebbero sui ceti meno abbienti finendo per produrre più occupazione. Non è vero nulla, non c’è uno straccio di statistica che lo possa confermare».
Dean Reed (1938-1986).
Fonte della foto: https://www.svoboda.org/a/166579.html
Dal quotidiano «il manifesto»
Le tante vite e la strana fine di Dean Reed, l’«Elvis rosso» che lasciò gli Usa per diventare rockstar al di là del Muro di Berlino. Passando per il Cile di Allende e il western all’italiana.
Per approfondire
Un documentario su Dean Reed
Mentre l’articolo di Papanikas ricostruisce il percorso biografico politico, musicale e cinematografico di Dean Reed basandosi in special modo sulla prima parte della sua vita, passata tra Stati Uniti e America Latina, questo documentario russo del 2009, sottotitolato in italiano, si concentra in particolare sui rapporti del cantante e attore americano con l’URSS e la DDR e sugli anni passati in questi due paesi, fino alla tragica morte, tuttora avvolta nel mistero, nelle acque del lago Zeuthener See, nei dintorni di Berlino.
Raniero Panzieri (1921-1964).
Fonte della foto: https://www.centrogobetti.it/rubriche/885-ricordo-di-raniero-panzieri-cesare-pianciola.html
di Pino Ferraris
La recente scomparsa del filosofo Mario Tronti ha riportato sotto i riflettori delle pagine culturali dei giornali anche la figura di Raniero Panzieri, che con Tronti percorse un breve ma intenso tratto di strada.
Presentiamo qui un ampio profilo storico-politico di Raniero Panzieri e del suo impegno per un rinnovamento del socialismo italiano.
di Milena Cossetto
Come il fascismo italianizzò la scuola in Alto Adige e come nacque la reazione locale (le Katakombenschulen) al rischio della perdita della lingua tedesca e della propria cultura.
Una segreta lezione di tedesco all'interno di un maso in provincia di Bolzano, nel 1927 ca.
Fonte della foto: wikipedia.org
Lilli Gruber e il primo dei libri di memorie sulla sua famiglia.
Fonte della foto: https://libreriamo.it/libri/lilli-gruber-torna-in-libreria-con-tempesta-un-libro-che-e-un-attacco-allintolleranza-2/
di Lilli Gruber
Ecco come la celebre giornalista sudtirolese narra le vicende della propria famiglia legate al primo periodo fascista, quello dell’italianizzazione delle scuole.
Anniversari e lotte
Giuseppe Di Vittorio per il salario minimo
articoli di Maurizio Acerbo e Ilaria Romeo
Nel 1954 l’allora segretario generale Cgil propone una legge che fissi un minimo garantito di retribuzione per tutti i lavoratori. Ma non verrà mai approvata.
Dalla rivista «Marxismo oggi» – 1994
Le risposte di Sebastiano Timpanaro a Guido Oldrini
di Manuel Riz
La lingua ladina appartiene alle lingue romanze ed è parlata da circa 30.000 persone nelle Dolomiti, precisamente in cinque valli situate intorno al Gruppo dolomitico del Sella: Val Badia (con gli idiomi badiot, ladin de mesa val, marô), Val Gardena (gherdëna), Val di Fassa (cazet, brach, moenat), Livinallongo del Col di Lana (fodom) e Ampezzo (ampezan). Il settimanale «La Usc di Ladins» [La Voce dei Ladini], che riunisce le cinque comunità, ha voluto ricordare il 100° anniversario del “Discorso di Bolzano” di Ettore Tolomei in maniera originale. Col fumetto Scedola vs Topolomei il disegnatore Manuel Riz riporta un “ideale” scontro linguistico-culturale tra il suo personaggio Scedola (la raccolta Scedola Patofies [Storie di Scedola] di Manuel Riz ha ricevuto una Menzione Speciale della giuria di Lucca Comics 2014) e un Tolomei reso famoso in quelle valli dalla sua riforma della toponomastica e che così viene ribattezzato “Topolomei”. Non sfuggirà la critica alla tendenza omologatrice della nostra vita contemporanea, nemica di ogni cultura originale, e una critica alla propria comunità più attenta ai valori del profitto che ai valori culturali.
Nelle didascalie diamo la traduzioni in italiano delle frasi pronunciate da Scedola; va detto che l’autore è di Canazei e usa il ladino della Val di Fassa, che è un po’ diverso (sente l’influenza veneta) da quello badioto un po’ meglio conosciuto dal curatore di questo sito.
L.C.
La scomparsa del filosofo Mario Tronti ha riportato sotto la luce dei riflettori le sue teorie e opere legate alla concezione operaista, da lui lanciata insieme a Raniero Panzieri negli anni Sessanta, poi in qualche modo superata dagli eventi e dalla storia. Qui presentiamo alcuni materiali sul filosofo che partì da Marx e Lenin ma andò oltre, come fecero molti altri intellettuali un tempo considerati “organici”.
Se è innegabile il suo valore come pensatore e innovatore del marxismo, dal punto di vista politico, soprattutto dopo la fine del PCI, le sue scelte lasciarono perplessi molti di noi che a quella deriva si opposero strenuamente. Infatti Mario Tronti, allergico a qualsiasi idea di minoritarismo, proseguì il proprio cammino politico e parlamentare seguendo il filone PDS-DS-PD, rischiando di rappresentare la foglia di fico della rappresentanza “marxista” all’interno di un partito che si è definitivamente allontanato dal marxismo e dalle istanze politiche della parte più avanzata della classe operaia sia nella forma che nella sostanza, sia dal punto di vista materiale che da quello ideale. Ci sono alcune sue interviste degli ultimi anni in cui si richiama alle opere e all’esperienza di Lenin, dichiarando l’esigenza di un loro rilancio: ma lo faceva con la tessera del PD in tasca, cioè dalla posizione politica la più distante possibile da quella tradizione ideale.
Cominciamo una rassegna dei materiali su e di Mario Tronti partendo dal profilo intellettuale che ne ha tracciato Stefano Petrucciani sul «manifesto» del 6 agosto 2023.
Stefano Petrucciani Tronti, il tempo della politica da una prospettiva radicale Vai all’articolo
Mario Tronti (1931-2023).
Foto di Livio Senigalliesi.
Fonte della foto: https://ilmanifesto.it/cdn-cgi/image/width=1200,format=auto,quality=85/https://static.ilmanifesto.it/2023/08/8clt1022.jpg
Dal quotidiano «Alto Adige»
di Paolo Campostrini
Cent’anni fa, precisamente il 15 luglio, Ettore Tolomei svelò al teatro di Bolzano i 32 provvedimenti per l’italianizzazione dell’Alto Adige. Una rottura netta rispetto al percorso portato avanti tra il 1918 e il 1922 dal commissario Luigi Credaro che mirava ad una convivenza linguistica.
Ora è sparita anche la Rosa rossa, non si sa dov’è sepolta.
Siccome ai poveri ha detto la verità
I ricchi l’hanno spedita nell’aldilà.
Qui giace sepolta
Rosa Luxemburg
Un’ebrea polacca
Che combatté in difesa dei lavoratori tedeschi
Uccisa
Dagli oppressori tedeschi.
Oppressi
Seppellite la vostra discordia.
Bertolt Brecht
Foto di Stefano Gallerini.
Alexander Langer (1946-1995).
Dalla rivista «Belfagor» – 1986
di Alexander Langer
C’è stata nella sinistra sudtirolese e italiana una figura che ha unito, quella di un vero e proprio costruttore di ponti tra culture e idee diverse: Alex Langer, un intellettuale originale, che ha scelto di uscire di scena troppo presto.