Per un archivio digitale di materiali e memorie sul movimento della Pantera 90 a Firenze.
Firenze, via Cavour. Manifestazione della Pantera, febbraio 1990.
(Archivio personale di Leandro Casini).
Piazza Brunelleschi. L’esterno della Facoltà di Lettere durante l’occupazione del 1990.
(Archivio personale di Leandro Casini).
«La Gazzetta di Firenze», 19 gennaio 1990.
«La Repubblica», ed. di Firenze, 19 gennaio 1990.
«La Gazzetta di Firenze», 20 gennaio 1990.
«il manifesto», 20 gennaio 1990.
🔴 di Andrea Montagni 🔴
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Correva l’anno 1990 e il sottoscritto era pro tempore segretario generale del Sindacato Nazionale Università della CGIL di Firenze.
Facevo il segretario e contemporaneamente ero tecnico esecutivo presso la biblioteca della Facoltà di Magistero.
Appoggiammo il movimento fin dall’inizio; gestimmo le inevitabili contraddizioni tra studenti e personale (ricordo ad esempio che gli studenti volevano tenere aperte le facoltà dopo cena con l’autogestione permanente e noi opponevamo resistenza all’apertura serale e festiva, utilizzando come argomenti la mancanza di personale, la mancanza di risorse per riconoscere il lavoro notturno e festivo, la mancanza di trasporto pubblico in quelle fasce orarie festive e notturne, la pericolosità di uscire la sera per la manodopera prevalentemente femminile…, ma sempre condividendo l’obiettivo).
Il compagno Gallelli era stato spedito – su sua richiesta e sollecitazione – a Palermo a studiare il movimento e tornò entusiasta. Credo che ne approfittò anche per fare il cronista per conto del giornale del suo partito.
Incoraggiammo gli studenti al rispetto delle sedi e delle suppellettili durante le occupazioni e invitammo il personale a restare in servizio anche durante le occupazioni fraternizzando e solidarizzando con gli occupanti.
Ricordo che di fronte al Rettorato, durante un presidio, i poliziotti in assetto antisommossa si innervosirono, ma la presenza dei dipendenti con lo striscione del sindacato insieme agli studenti impedirono qualsiasi degenerazione, anche se un graduato troppo zelante – forse tratto in inganno dalla informalità del mio vestiario (barba e capelli lunghi assai) – mi mise le mani addosso, subito fermato dal funzionario della Digos presente, che lo apostrofò: "Fermo che quello è del sindacato!"
Dimenticavo di dire che la causa di tutto fu la "riforma" Ruberti che introduceva le aziende nelle Università.
Altri tempi.
Andrea Montagni
Inserito il 27/01/2023.
È datato 14 febbraio 1990 il n. 1 (e unico) di «nuNc», Bollettino settimanale della Facoltà occupata di Lettere e Filosofia di Firenze. In fogli di formato 37x25, rappresentò un primo tentativo di organizzazione informativa del movimento di occupazione di Facoltà, poi sfociato in un foglio interfacoltà che uscì successivamente, dal titolo «Movanta».
Da notare anche il contributo del vignettista de «l’Unità» Sergio Staino, che inviò una serie di strisce disegnate appositamente per noi.
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Giovanni Russo Spena (n. 1945) era nel 1990 segretario di Democrazia Proletaria e deputato alla Camera dei Deputati.
I(ntervistatore): Rispetto alla normalizzazione degli anni Ottanta credi che il Movanta possa rappresentare un primo momento di svolta?
R(usso) S(pena): Credo che questo Movimento sia molto importante, poiché in qualche modo chiude con gli anni Ottanta, anni di vuoto, di frantumazioni sociali, di oppressione, di senso del privato, di arrivismo, di yuppismo. Infatti questo Movimento, in modo anche inatteso, ha posto al centro della propria piattaforma non semplicemente problemi legati alla condizione studentesca e allo studio, ma anche problemi che riguardano il modello produttivo e il modello di democrazia del nostro paese. La sua è una lotta contro le concentrazioni dell'informazione, contro la mercificazione della cultura e la privatizzazione. Questo Movimento apre davvero gli anni Novanta accogliendo in sé quelle che sono le istanze fondamentali della ristrutturazione del sistema produttivo in vista del mercato unico europeo del 1992/’93.
I: Credi che il neo-pragmatismo e il corporativismo dei “rampanti” portato avanti dal PSI sia radicato nei nostri riti o pensi che l’individualismo imperante anche nel Movimento abbia fatto il suo tempo?
RS: Credo che in tutti i fenomeni collettivi, e in particolar modo nel Movimento studentesco, sia presente una comune voglia di capire, di comprendere, ma anche di essere gioiosi insieme. In questo clima non può non esserci uno spostamento forte di coscienza; non c’è dubbio che all’interno di questo crogiolo collettivo emergono posizioni individualistiche, ma queste non sono prevalenti, altrimenti il Movimento non avrebbe la forza e il radicamento che mostra di avere in questi giorni.
I: Come credi che il Movimento debba porsi rispetto ai problemi connessi alla protesta quali la concentrazione e la ripartizione dell’informazione?
RS: Credo che il Movimento innanzi tutto faccia bene a porsi come punti fondamentali della propria piattaforma la lotta contro la concentrazione e la lottizzazione. Bisogna che il Movimento abbia la capacità di fare informazione autonomamente, sia utilizzando nella maniera più attenta gli spazi dei mass-media, sia controinformando direttamente, mantenendo i rapporti con la società ed elaborando documenti e giornalini all’interno degli atenei. In questo senso credo che per il Movimento siano stati momenti molto positivi da una parte la trasmissione “Samarcanda”, in cui gli studenti hanno mostrato a tutta l’Italia il loro biglietto da visita, dall’altra la capacità e la fermezza con cui il Movimento ha saputo rispondere alla provocazione di “Repubblica” e di tutti i mass-media sulla questione di Scienze Politiche a Roma.
I: Pensi che il “CAF” sia realmente preoccupato dell’unico Movimento di massa che si oppone alla logica di potere ormai consolidato da un decennio?
RS: Credo che sia preoccupato: ha i nervi a fior di pelle. Non a caso c’è stata la profezia in negativo del ministro Gava sulle infiltrazioni di cui poi hanno tentato di dimostrare l’attuazione. Inoltre si capisce dalle domande di alcuni ministri, i quali si chiedono come sia possibile che dopo dieci anni di completa egemonia della produzione dell’informazione, improvvisamente nasca un Movimento che si pone come obiettivo una trasformazione così radicale.
I: Qual è, secondo te, la giusta posizione studentesca all’interno degli organi decisionali universitari?
RS: Credo che il Movimento non debba fare la fine di altri movimenti del passato. Bisogna stare attenti che il tutto non si riduca ad una parlamentarizzazione del Movimento, cioè alla creazione di piccoli parlamentini, caratterizzati dalla delega assoluta a piccoli gruppi di studenti che renderebbero completamente marginale la presenza degli studenti nelle assise e nei consessi universitari.
Credo che questo Movimento sia partito alto nei contenuti, per cui non può limitarsi ad una semplice contrattazione sui futuri organi universitari. Penso che una forza degli studenti negli organismi vada di pari passo con la rivendicazione dell’autonomia intesa come autogestione e non privatizzazione.
I: Cosa ne pensi dei rapporti che il Movimento dovrebbe avere con le altre categorie lavorative.
RS: Penso che siano di vitale importanza. Mi auguro, infatti, che la prossima tappa del Movimento sia la socializzazione, l’apertura verso il mondo esterno per creare un blocco sociale attorno all’Università. Voler discutere con i lavoratori non significa soltanto entrare in rapporto con i massimi vertici nazionali delle rappresentanze sindacali, in quanto vi è una rottura e un’articolazione di posizioni così profonda all’interno del sindacato che non è sufficiente incontrarsi con Marini, Benvenuto e Trentin per parlare con i lavoratori. Bisogna quindi rivolgersi direttamente alle organizzazioni autonome dei lavoratori.
I: In relazione al seminario di Scienze Politiche a Roma, la Rossanda afferma che lo Stato deve assicurare il diritto di parola a colui che la magistratura ha lasciato libero. Cosa ne pensi?
RS: Credo che il concetto espresso dalla Rossanda, che condivido pienamente, sia il nucleo centrale del garantismo. Ritengo di essere un garantista coerente e per questo faccio le mie battaglie da anni. A tal proposito vorrei ricordare che ad un’assemblea a cui ho preso parte insieme ad Anastassia della FGCI, ai giornalisti de “Il Manifesto” e al brigatista che aveva parlato a Scienze Politiche, sfidando la criminalizzazione dei mass-media, abbiamo ribadito il diritto che ognuno ha di esprimersi liberamente come diritto legittimo e costituzionale.
I: Come giudichi l’atteggiamento della Iotti?
RS: La Iotti sbaglia: il Movimento ha il diritto di parlare con tutti. La Iotti è stata presa come al solito da una vecchia cultura statalista e centralizzatrice.
I: Tenendo conto delle concentrazioni e rifiutando la logica della privatizzazione, come pensi che sia possibile realizzare un rapporto tra mondo del lavoro e università?
RS: Questo è un problema importantissimo. ritengo che l’esperienza degli studenti francesi debba essere presa in considerazione; anzi, vi consiglierei di prendere contatti con i movimenti non solo francesi, ma anche spagnoli, inglesi, che hanno ottenuto già moltissimi risultati negli anni scorsi. Occorrerebbe infatti una internazionalizzazione del conflitto studentesco perché oggi nulla può svolgersi a livello provinciale o a livello culturalmente limitato. Credo quindi che vada articolata, in proposito, e adottata quella che gli studenti francesi chiamano la competenza sociale, secondo la quale l’università deve riassumere un ruolo di elaborazione di sapere critico e indipendente che si apra a tutta la società.
a cura di Piergiorgio & Titti
(Tratto da “nuNc”, n. 1, 14 febbraio 1990).
Inserito il 24/02/2023.
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L’iniziativa svoltasi nel pomeriggio di giovedì 8 febbraio nella nostra Facoltà occupata su “Privatizzazione e mondo del lavoro”, che ha visto la partecipazione di rappresentanti sindacali e lavoratori (FIOM, CGIL Università, CGIL Enel, Cobas Ferrovie, fabbriche Sime e Longinotti) non si può certo dire che sia stata accolta con grande attenzione da parte di noi studenti. Al di là di innegabili deficienze organizzative e della scarsa pubblicità soprattutto all’esterno della facoltà, va comunque detto che il sovrapporsi di altre riunioni non giustifica la scarsa partecipazione studentesca che sicuramente ha rappresentato l’aspetto più negativo di un incontro per altri versi interessante, se non altro per il quadro d’insieme, per gli elementi di riflessione che ha offerto. In molti interventi è emerso come la privatizzazione dei servizi sociali, insieme allo smantellamento progressivo dello “stato sociale”, sia solo l’ultimo tassello di un complessivo attacco portato dalle classi dominanti e dal governo alle condizioni di vita e di lavoro di milioni di operai e di lavoratori: aumento e intensificazione dello sfruttamento, licenziamenti (è cronaca di oggi la proposta di Schimberni, temporaneamente ma non definitivamente ritirata, di mandare a casa 20.000 ferrovieri), riduzione degli spazi di democrazia e libertà per tutti.
In fondo il senso della legge Ruberti, la privatizzazione e la mercificazione di ogni ambito della vita sociale e del sapere è parte inscindibile di un processo di trasformazione della società intera in una giungla di corporativismi che rischiano di indebolire qualunque tentativo di ripresa, allargamento e radicalizzazione dei Movimenti di opposizione.
Per questo la forza del Movimento studentesco può raggiungere effettivi risultati, anche parziali, solo se riesce a legarsi agli altri settori sociali. Spetta anche a noi non sprecare altre occasioni di confronto e di mobilitazione comune con i lavoratori.
Paolo
(Tratto da “nuNc”, n. 1, 14 febbraio 1990).
Inserito il 24/02/2023.
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«Un corso universitario è concepito come un libro sull’argomento. Ma si può diventare colti con la lettura di un solo libro? Si tratta quindi della questione del metodo nell’insegnamento universitario: all’università si deve studiare o studiare per saper studiare? Si devono studiare “fatti” o il metodo per studiare i “fatti”? La pratica del seminario dovrebbe appunto integrare e vivificare l’insegnamento orale».
Redigendo i suoi celeberrimi Quaderni del carcere, Gramsci aveva già colto la pluralità di indirizzi verso cui è possibile indirizzare la funzione universitaria: soltanto una concezione dell’università in termini di esamificio e della didattica in termini di nozionismo rendono ragione dei processi di normalizzazione e di restaurazione subiti dall’istituzione universitaria nel corso degli anni Ottanta, di cui il pacchetto legislativo presentato al Parlamento dal ministro Ruberti è l’ultima e più compiuta espressione.
Invece, sviluppando conseguentemente le annotazioni gramsciane, l’università dovrebbe essere il luogo in cui si apprende una metodologia critica e problematica di ricerca, in grado di proporsi come strumento di crescita culturale e di maturazione intellettuale dello studente.
In questo senso, l’interdisciplinarità e la sperimentazione dovrebbero essere i due perni intorno ai quali ruota il rinnovamento della didattica, in modo da garantire agli studenti un approccio dialettico al sapere e una visione d’insieme dei problemi. Tuttavia, il rinnovamento dei metodi di insegnamento non è sufficiente se non è accompagnato da un rinnovamento dei programmi di insegnamento: sotto questo profilo, è auspicabile che la cultura universitaria si apra ai fermenti più innovativi e progressivi espressi dalla società civile negli ultimi anni, quali, per esempio, la critica ecologista all’attuale modello di sviluppo, la cultura della pace, il pensiero della differenza sessuale, ecc.
Condizione preliminare per realizzare tutto questo è un mutamento radicale dei rapporti tra università e società nella direzione di un fecondo intreccio e di un reciproco arricchimento, per evitare i due estremi negativi rappresentati dalla chiusura corporativa dell’istituzione universitaria in sé stessa e dalla subalternità di quest’ultima alle logiche del mercato capitalistico.
Stefano
(Tratto da “nuNc”, n. 1, 14 febbraio 1990).
Inserito il 24/02/2023.
Sergio Staino (1940-2023).
Fonte della foto: https://www.intoscana.it/wp-content/uploads/Sergio-Staino-e1697894192606.jpeg
Il vignettista Sergio Staino, recentemente scomparso, abitava nelle colline vicino a Scandicci, e non era raro incontrarlo sull’autobus o per le vie di Firenze, alle riunioni di partito nelle case del popolo della provincia o in dibattiti pubblici.
Il suo appoggio al movimento della Pantera fu convinto, e lo volle dimostrare anche inviando proprio per il bollettino della Facoltà di Lettere «nuNc» una serie di vignette che avevano per protagonista Bobo, sua figlia e sua moglie.
Riproduciamo quelle vignette di Sergio Staino e vogliamo in questo modo rendergli omaggio come merita questo grande conoscitore dei sentimenti che muovono il popolo di sinistra.
Autore della foto: DA PRECISARE.
🔴 di Leandro Casini 🔴
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Pantera 90. Se ci ripenso…
A Davide,
testimone e compagno
dei miei anni fiorentini.
Se ci ripenso mi tornano alla mente molti ricordi, dei flash, immagini, volti, momenti, ma non mi si sviluppa nella memoria il percorso continuo, la cronologia minuta. Credo che sia normale, e che non succeda solo a me. Ricordi a spizzichi e bocconi, riaffiorati via via anche grazie agli incontri con i compagni di allora.
Se ci ripenso… Chi ero allora, in quella mia lunga esperienza universitaria che posso veramente considerare, per quel che mi riguarda, periodo di formazione sia culturale che politica che personale che sentimentale…? Ero uno studente di lingue e letterature straniere, in particolare di lingua e letteratura russa. Una scelta non casuale, naturalmente. Anzi, devo dire che quando mi confrontai coi miei sul fatto se, dopo il liceo scientifico a Siena, dovessi o meno continuare gli studi, dissi loro che lo avrei fatto solo se avessi avuto la possibilità di studiare russo. A Siena veniva insegnato, ma non c’era il corso di laurea in Lingue, e quindi i miei si attivarono per trovarmi una sistemazione a Firenze, la prima destinazione che mi venne in mente.
Per i miei genitori, ex mezzadri della Val d’Orcia trasferitisi poco più che ventenni in Val d’Arbia, che voleva dire alle porte della città di Siena – un miraggio per loro –, pensare di avere un figlio laureato significava riscatto per la loro vita contadina fatta di rinunce e di penuria, non di rado penuria anche d’affetti. Un trasferimento di 30 chilometri, quello dalla Val d’Orcia alla Val d’Arbia, che sembrava ai loro occhi un cambio allo stesso tempo di stato e di Stato. Non più contadini, non più pecore, maiali, terra da arare… A mio padre – l’ho capito dopo – quell’abbandono della terra non è mai andato giù, non ha mai staccato del tutto il suo cordone ombelicale con la Val d’Orcia.
Dunque, nel 1985 l’unico figlio va a Firenze a studiare, per loro – come detto – un riscatto, per lui un’avventura. Ero già attivo politicamente al mio paese, Monteroni d’Arbia: mi ero iscritto alla Federazione giovanile del PCI a 15 anni, e quando a 17 andai “in Russia”, come si soleva dire allora (era in realtà Unione Sovietica), ne tornai fulminato. Già ero un po’ filosovietico, quindi in contrasto con le linee del mio partito che da quell’esperienza aveva preso le distanze, ma tornai ancor più convinto che, pur con le contraddizioni del presente e i drammi del passato (i gulag, gli scontri sanguinosi in seno al partito, il Muro, la Cecoslovacchia, ecc.), quell’esperimento sociale, politico ed economico andasse sostenuto.
Se ci ripenso… Il primo anno lo passai tutto nelle aule della Facoltà a seguire i corsi e in biblioteca a studiare. Ma fin dai primi mesi cominciai a guardarmi intorno e a frequentare, in via Guelfa, la sezione universitaria della FGCI, il cui segretario era allora Luca Pettini.
La mia curiosità però mi spingeva più che altro a cercare compagni interni alla Facoltà. Nell’atrio erano affissi dei manifesti: tra quelli, imperanti, dei Cattolici Popolari, ne spiccava uno – che non poteva non attirare la mia attenzione – con l’inconfondibile faccia del giovane Antonio Gramsci e con la citazione «Vivere significa essere partigiani. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». In basso era scritto: «Studenti di sinistra». Eccoli!
Cominciai a partecipare ad alcune delle loro riunioni, e notavo che via via le loro file si stavano rimpolpando, segno di due cose: 1) lavoravano sui temi giusti, sia interni alla Facoltà (didattica, diritto allo studio, ecc.), sia generali, di politica e cultura italiana e internazionale; 2) i Cattolici Popolari avevano stressato i più, con i loro banchetti onnipresenti e onnipervasivi, miranti a cercare noi matricole per farci aderire al loro movimento.
Il collettivo era una fucina d’idee, discussioni, amicizie: ad esso aderivano compagni di vari orientamenti e appartenenti a varie sigle di sinistra, e la cosa che mi stupiva di più – io che credevo di essere abbastanza rigido e poco elastico – era che nelle discussioni interne spesso mi trovavo più d’accordo con altri che non con i miei compagni iscritti come me alla FGCI. Non a caso proprio in quegli anni andai a prendere contatto con Democrazia Proletaria (a cui non aderii, ma che in più d’un’occasione votai) a via dei Conciatori, dove ebbi un colloquio col segretario Alfio Nicotra: il manifesto di Gramsci appeso alla parete dietro di lui mi fece sentire a casa, come in una sezione del mio PCI, anche se fino ad allora quel simbolo col pugno chiuso aveva rappresentato per me un movimento estremista da cui stare in guardia. Una certa idea (sbagliata) che ci fosse una dose di collateralismo col brigatismo mi si era in qualche modo insinuata dentro la testa negli anni precedenti: ma ora non ero più in paese, la vita in città e la frequentazione dell’università cominciava ad allargare i miei orizzonti.
Le riunioni del collettivo spesso continuavano al bar di Facoltà. E lì ci mescolavamo anche a compagni di altri gruppi che non facevano parte del collettivo ma che consideravamo dalla nostra parte, pur con innegabili differenze. C’erano quelli della Lega Socialista Rivoluzionaria, c’era qualcuno del Partito Comunista Internazionale di Bordiga. E c’era Marco Furio, ex Autonomia Operaia, grande persona e gran personaggio: io m’incantavo ad ascoltarlo, anche se non ero sicuro di seguire appieno il suo flusso continuo di parole e riferimenti teorici. Leggevo molto a quei tempi Dostoevskij e Turgenev, e la sua immagine, il suo eloquio, mi ricordavano quei narodniki russi di cui i due autori narrano per esempio nei Demoni e in Padri e figli. Aveva allora sui trentacinque anni, era ferroviere e fuori corso chissà da quanti anni.
Comunque, se ci ripenso… saltando al 1989, ricordo che il clima politico era sempre più rovente. I moti cinesi di piazza Tienanmen fecero una grande impressione su di noi. Organizzammo un dibattito con un esperto, un docente di Scienze Politiche. L’aula B, al primo piano, la più grande, non riusciva a contenere tutti. Decidemmo quindi di scendere in massa nel chiostro, solo che avevamo a disposizione solo un megafono. Io lo reggevo davanti alla bocca del nostro imbarazzato ospite, che continuava a chiedere se fosse possibile cercare un altro modo. Riuscì a portare in fondo il suo intervento, la sua analisi delle condizioni che avevano portato alla rivolta di frange di popolazione cittadina cinese. Non ne seguì un gran dibattito, le condizioni non erano quelle giuste, ma il clima era fervente. C’era interesse per la politica, interna e internazionale, e non ci pareva vero, a noi del collettivo, che ci lamentavamo spesso fra di noi del riflusso imperante cui avevamo assistito lungo tutti gli anni Ottanta.
C’era voglia di engagement, di impegno. Ricordo le lezioni di Maria Bianca Gallinaro Luporini, moglie di Cesare Luporini, mia docente allora di letteratura russa. Ricordo il suo insistere sul carattere engagé di molti letterati russi dell’Ottocento e del Novecento; ricordo passaggi delle lezioni su Herzen, su Tolstoj, su Čechov… Cresceva dunque in me, con le persone giuste come interlocutori, quel senso di impegno per una causa comune che mi aveva fatto muovere i primi passi al mio paese nella distribuzione de «l’Unità» la domenica, o nell’attivismo alle feste dell’Unità di Monteroni (dove mi impegnavo nella preparazione di enormi cartelloni e nella gestione dello stand dei libri) e di Siena (lì ci occupavamo invece di pizza).
Tra le persone giuste, oltre a compagni e docenti, ovviamente vanno inseriti anche i classici: Lenin prima di tutto, con Stato e rivoluzione, Gramsci, Brecht, Majakovskij…
Dunque, l’89: prima la Cina con Tienanmen, poi un’estate piena di manifestazioni antigovernative nei paesi dell’Est, ad alcune delle quali assistei direttamente, trovandomi in Cecoslovacchia in luglio-agosto a studiare la lingua ceca. Poi la caduta del Muro, i cui frammenti “ferirono” anche me – politicamente, moralmente – e tutto il PCI, partito in cui si diede avvio, con Occhetto il 12 novembre alla Bolognina, al processo di fuoriuscita definitiva dal solco del marxismo.
Ma a dicembre ci fu un fatto nuovo, un fatto di segno uguale e diverso rispetto ai movimenti nel mondo: uguale perché partiva anche qui dai giovani, diverso perché in direzione sostanzialmente anticapitalista. A Palermo gli studenti occuparono la locale università e con nuovi mezzi di comunicazione a disposizione (i fax) presero a diffondere un programma di lotta alle riforme proposte dal ministro socialista dell’Università e della Ricerca Antonio Ruberti, e iniziarono a creare una rete di contatto con gruppi di studenti sparsi nelle università di tutt’Italia. Iniziò un movimento che subito si fece interessante per noi del collettivo, che quelle stesse istanze portavamo avanti già nei nostri documenti e nelle nostre iniziative. Da Palermo arrivavano dei punti di elaborazione più avanzati e sviluppati e si denunciava apertamente il tentativo del governo di permettere alle aziende private di finanziare i progetti delle facoltà, specie quelle scientifiche, consentendo loro di entrare nei consigli di amministrazione degli atenei. Dalla Facoltà di Lettere di Palermo si metteva in guardia innanzitutto dal rischio della creazione di facoltà di serie A e di serie B in base alla raccolta dei finanziamenti privati per i progetti, e si rivendicava l’avvio di un processo democratico che portasse invece gli studenti ad avere un ruolo decisionale nei consigli d’Ateneo.
La successiva occupazione della Sapienza a Roma, il 15 gennaio 1990, provocò un effetto domino in tutta Italia, e il 18 gennaio, primi a Firenze, anche noi di Lettere occupammo.
Se ci ripenso… Il 18 gennaio, giorno fissato per l’assemblea che avrebbe dovuto decidere l’occupazione, mi ricordo un gran casino. Io, esaltato per il clima di fermento “rivoluzionario” che aleggiava in aula B, scrissi col gesso sulla grande lavagna dietro al banco della presidenza
ВСЯ ВЛАСТЬ СТУДЕНТАМ!
TUTTO IL POTERE AGLI STUDENTI!
Un richiamo allo slogan della rivoluzione bolscevica: “TUTTO IL POTERE AI SOVIET!”. La scritta resisté sì e no dieci minuti, poi qualcuno più sobrio di me la cancellò scrivendo l’ordine del giorno dell’assemblea.
Nella concitazione generale l’assemblea votò per l’occupazione con una selva di mani alzate. I Cattolici Popolari erano abbastanza raccolti e dal loro settore si alzarono compatte le mani nel voto contrario, e poche sparse altrove. Una delegazione composta dalla presidenza dell’assemblea si recò quindi dal preside di Facoltà, che non batté ciglio e fece consegnare le chiavi.
Avevamo stabilito che io ed altri due membri del collettivo organizzassimo il servizio di vigilanza, e nei primi due giorni io mi ritrovai in tasca un gran mazzo di chiavi. Una responsabilità assurdamente grande. I primi due giorni li passai ad aprire e chiudere porte per compagne e compagni impegnati in altre commissioni di lavoro. Non mi fidavo di nessuno e non consegnavo le chiavi a nessuno. La prima notte andai a riposarmi al secondo piano, su un tavolone di quelli in cui di solito passavamo le ore a studiare, con il mio sacco a pelo. Al vetro del casotto della portineria nell’atrio scrissi un biglietto pressappoco di questo tenore: «Il chiavista Leandro dorme al secondo piano. Siete pregati di svegliarlo solo in caso di estrema urgenza».
Temevamo provocazioni, facevamo turni agli ingressi della Facoltà, sia a quello che dava su Piazza Brunelleschi, sia alla porta che dal chiostro immetteva all’interno.
Nei giorni successivi l’assemblea decise che gli studenti iscritti a Lettere avrebbero ricevuto un nostro “passi”, senza il quale nessuno sarebbe stato ammesso ai locali della Facoltà dai servizi di vigilanza agli ingressi.
I giornalisti, se ci ripenso… L’evento occupazione aveva destato la curiosità dell’opinione pubblica e la stampa locale e nazionale non si era lasciata sfuggire l’occasione. In quei primi giorni era un continuo viavai di giornalisti e video-operatori, e tutti al cancello venivano indirizzati al comitato stampa per ricevere anch’essi un “passi”.
Uno dei nostri timori era più che fondato: Digos e carabinieri in borghese naturalmente erano tra noi e cercavano di capire chi faceva che cosa. Naturalmente lo sapevamo ma volevamo fare in modo di arginare il pericolo di schedature e future rogne giudiziarie. Eravamo in una posizione delicata, nessuno garantiva di coprirci le spalle. Ricordo che allontanammo due finti studenti – due giovani con barbetta curata – grazie a dei guanti: un nostro compagno, figlio di un ufficiale dell’Arma, mi aveva fatto notare che quei due tenevano in mano i guanti ripiegati come si insegnava a fare ai carabinieri; ci avvicinammo ai due, chiedendo loro i “passi”, che non esibirono, e dicendo loro che secondo noi non appartenevano alla nostra Facoltà; accennarono una protesta blanda, dichiarandosi studenti, ma si allontanarono in fin dei conti senza troppi problemi.
Perciò alcuni di noi, io per primo, eravamo un po’ restii all’ingresso delle telecamere in Facoltà. A un certo punto, ingenuamente, io mi fissai sui loghi che comparivano sulle telecamere: Raitre, Mediaset, ecc. Durante un’assemblea svoltasi in aula B, forse la seconda settimana di occupazione, i giornalisti con video-operatori al seguito erano stati ammessi ad assistere: io mi ero concentrato su una delle telecamere, che non riportava l’adesivo con il logo della tv. Ebbi l’impulso di chiedere la parola di fronte all’uditorio e denunciai il fatto che la polizia poteva benissimo riprendere tutti noi per poi farcela pagare in seguito. Indicai a supporto della mia tesi che a una delle telecamere lì presenti mancava il “bollino” e chiesi che l’assemblea ne decidesse l’immediato allontanamento. Ci fu una forte reazione favorevole nella platea, ma subito una giornalista (non ricordo di che testata, ma mi pare di un tg Mediaset) chiese la parola e ribatté che: 1) la telecamera in questione era con lei; 2) che quello del “bollino” era un falso problema poiché la polizia, se avesse voluto, si sarebbe potuta procurare tutti gli adesivi necessari. Garantì inoltre che quelle immagini non sarebbero andate alle forze dell’ordine. “Una logica ferrea” (železnaja logika) direbbero i russi, una logica che infatti riscosse l’apprezzamento del pubblico studentesco. Fui sconfitto sul campo della logica e dell’oratoria, e da allora non presi più la parola alle assemblee plenarie. Ricordo ancora quell’episodio (alquanto banale) come un boccone amaro ingoiato da me in un momento pur esaltante.
Se ci ripenso… ricordo la solidarietà di molti dei lavoratori universitari con la nostra lotta, ricordo gli incontri con la CGIL Università, con il suo segretario Andrea Montagni e con Anna Nocentini: durante questi incontri esprimevamo la nostra intenzione di non ostacolare il lavoro e di trovare delle forme di collaborazione che rendessero sicuro l’ambiente della Facoltà per tutti quanti.
Non fui presente a nessun incontro con il preside di Facoltà, ma sostanzialmente ci fu un tacito accordo sul non far danni in cambio dell’impegno a non chiamare le forze dell’ordine per uno sgombero forzato. Da parte della presidenza anzi ci venne anche chiesto di poter concordare e collaborare all’uso, in due giorni specifici, delle aule del primo e secondo piano per un già programmato concorso di dottorato o qualcosa del genere. Ricordo che ci organizzammo per bene perché ai due piani accedessero in quei due giorni solo i partecipanti al concorso e il personale incaricato, senza far passare i nostri studenti; ricordo che io stesso ci restai da mattina a sera per due giorni.
Penso quindi che nel nostro piccolo abbiamo dimostrato un gran senso di responsabilità. Io da questo punto di vista ero vecchio stampo, diciamo vecchio PCI, diciamo sovietico, va’…
E che dire del gran lavoro delle compagne e dei compagni della Commissione “LINDA”, che pensavano a tenere puliti e in ordine gli ambienti, e che a un certo punto si misero anche a ridipingere e decorare le pareti del secondo piano. Non era un’impresa facile tenere in ordine i locali: tutte le sere in Facoltà, nelle prime settimane, c’erano iniziative di tutti i tipi, dai dibattiti ai cineforum, dai concerti a gruppetti di ragazzi con chitarra a cantare fino a notte inoltrata. E giù panini e birre e lattine. E verso la fine del periodo dell’occupazione organizzammo addirittura una cena partecipatissima, attrezzandoci con bombole a gas, grandi fornelli da campo, un pentolone per cuocere la pasta.
In Commissione Stampa c’erano alcuni compagni che già collaboravano alle cronache cittadine di qualche testata: ricordo per esempio Piergiorgio che scriveva per le pagine fiorentine de «l’Unità». In saletta stampa era arrivato un ciclostile, non ricordo se prestato dalla Camera del Lavoro o dalla FGCI: un caro vecchio ciclostile, che mi riportava ai tempi di Monteroni, quando stampavamo in proprio i volantini e i giornalini della Federazione giovanile comunista del paese. Al paese la trazione era a manovella, questo invece era elettrico, ma il sistema dei rulli, delle matrici, dell’inchiostro era identico, e quindi avevo una certa esperienza e dimestichezza nell’intervenire quando la carta si inceppava o qualcosa non funzionava. In Facoltà stampammo al ciclostile un bollettino, «nuNc» (in latino ‘ora’: ma non saprei dire il perché di questo titolo con questa disposizione di lettere), che riportiamo in versione integrale sul sito www.spaziocollettivo.org.
Se ci ripenso… ricordo poco delle altre commissioni, Cultura, Didattica, ecc. Quella sulla didattica era fondamentale, ma io limitai la mia presenza alla discussione su un documento degli studenti del corso di laurea in lingue. Altri compagni erano più bravi di me in tali questioni, il mio contributo era più utile in altre mansioni, diciamo quelle più pratiche e meno teoriche.
E che dire delle manifestazioni? Ce ne furono più d’una. Ne ricordo una partecipatissima che partì da piazza San Marco e terminò in piazza Santa Croce nella quale agli studenti di tutte le Facoltà occupate si unirono migliaia di studenti delle Superiori. Io me la feci alla guida di un’auto con altoparlante, con un compagno che scandiva slogan o illustrava brevemente alla città le nostre ragioni camminando col microfono fuori dalla macchina.
Ricordo poi quella nazionale a Roma, con treno speciale, stanchezza, esaltazione, elicotteri della polizia, poliziotti in assetto non pacifico, slogan contro Ruberti e contro il governo, e «Via, via, la polizia!»… Non era la rivoluzione, no. Non era il ’68 né il ’77, ma era la nostra voglia di rivoluzione, il tentativo di un nostro riscatto.
Vennero quindi le assemblee nazionali, una a Firenze per l’appunto, e le prime crepe nel movimento. Poi a Napoli la rottura tra l’ala più radicale e quella più dialogante. Ricordo poco la giornata dell’assemblea al palazzetto dello sport di Scandicci, ricordo solo un gran casino. Io non ero più molto carico, dopo quasi due mesi di lavoro in prima fila. In fin dei conti il mio abituale pessimismo (o scetticismo) ritornava alla carica dentro di me.
Se ci ripenso, infatti… Non posso dire che tutti i due mesi e mezzo di occupazione io li abbia trascorsi in Facoltà. A un certo punto diradai, la stanchezza si faceva sentire. E forse anche un inizio di senso di delusione. Non mi ero tagliato la barba fin da prima dell’occupazione. Quando finimmo (tra le Facoltà di Firenze fummo i primi a occupare e gli ultimi a disoccupare) mi rasai la barba. Anche simbolicamente avevo chiuso una parentesi della mia vita.
La Pantera fu per me una parentesi che si era chiusa, ma non si chiuse certo il mio impegno politico: che continuò nel collettivo, che dopo un’iniziale fase di disorientamento si ricostituì e passò a nuovi progetti (per esempio pubblicammo almeno sette numeri di un giornale culturale, «Margini»); che continuò nell’attività di partito, nelle battaglie per mozioni ai congressi di trasformazione del PCI in PDS, nella fondazione di Rifondazione Comunista (prima movimento e poi partito), a cui dedicai almeno 10 anni di impegno in prima linea, soprattutto in ambito locale e provinciale di Siena.
L’esperienza della Pantera è stata per me importante, ma dal punto di vista personale forse non quanto quella – che è stata formativa – della partecipazione al collettivo degli studenti di sinistra.
Se ci ripenso… che libertà! Un senso di libertà, ma forse meglio dire di liberazione (parafrasando Lukács, libertà indica uno stato di cose, liberazione un processo di trasformazione), ci prese tutti quanti in quel periodo.
Mi viene in mente che proprio durante l’occupazione di Lettere ci fu un esempio di liberazione individuale e collettiva che visto oggi la dice lunga sulla rilevanza storica di quegli eventi: un gruppo di ragazzi diede vita a un piccolo movimento, con la sigla G.R.U.L.L.O. (Gaia Riunione Universitaria per la Lotta di Liberazione Omosessuale), che permise a diversi giovani di dichiarare senza remore e timori la propria omosessualità. Il clima di liberazione dell’occupazione aveva creato le condizioni anche per un’apertura di questo tipo. Vi sembra poco per essere oltre trent’anni fa?
Con le occupazioni avevamo avuto il coraggio di passare all’azione, riuscendo a far parlare l’Italia intera dei nostri problemi e a far conoscere le nostre posizioni critiche sul corso liberista, quindi anti-sociale, che si stava imponendo sulla società italiana. Avevamo dimostrato che solo con la lotta e con la mobilitazione si poteva riuscire a far qualcosa. Avevamo detto la nostra e in seguito, in altre forme, abbiamo continuato a dirla. Molti di noi continuano ancora a lottare in nome degli stessi principi di allora: diritto allo studio per tutti senza che sia il capitale a determinare gli orientamenti della cultura e dell’istruzione, liberazione dall’oppressione e dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, uguaglianza sociale ed economica. Ogni tanto ci ripenso…
Leandro Casini
Inserito il 27/03/2023.
Piazza Brunelleschi. L’esterno della Facoltà di Lettere durante l’occupazione del 1990.
(Archivio personale di Leandro Casini).
A vent’anni di distanza dal 1990, il libro è la prima storia del movimento studentesco scoppiato contro la riforma universitaria del ministro Ruberti, che portò a mesi di occupazioni in tutto il paese. Attraverso la propria memoria, ma anche rileggendo i documenti del movimento e tutta la rassegna stampa di quei mesi, l’autore ricostruisce le tappe di un movimento rimosso dalla storiografia ufficiale, diversamente dal ’68 e dal ’77. Chi erano quegli “strani” studenti che si mobilitarono subito dopo la caduta del Muro di Berlino? Cosa volevano? Perché scelsero la Pantera come simbolo? Perché furono sconfitti? E chi sono oggi gli “ex-panterini”?
(Dalla quarta di copertina).
Inserito l’11/04/2023.
Storia dei movimenti studenteschi e giovanili dalle “magliette a strisce” a Greta Thunberg
A 30 anni di distanza dal 1990, il libro è la storia del movimento studentesco nato contro la riforma universitaria del ministro Ruberti, che portò a mesi di occupazioni in tutto il paese. Si ricostruisce tutta la storia del movimento che viene inserito in un’ampia ricostruzione storica dove vengono analizzate sia la condizione giovanile che quella degli studenti fino ad arrivare all’ultimo movimento studentesco nazionale e internazionale che si batte contro i cambiamenti climatici e che vede nel nostro paese un grande protagonismo degli studenti delle medie superiori.
Chi erano quegli studenti che si mobilitarono subito dopo la caduta del muro di Berlino? Perché scelsero la Pantera come simbolo del movimento? Perché furono sconfitti? E chi sono oggi gli ex Pantere? Oggi come si comporteranno verso il nuovo e grande movimento studentesco?
Le mobilitazioni studentesche hanno sempre avuto un enorme significato sintomatico, gli studenti tendono a comparire nei momenti in cui la società è attraversata da crisi profonde. Gli studenti sono un indicatore particolarmente sensibile, in grado di segnalare immediatamente l’avvicinarsi di nuovi cicli di lotte.
(Dalla quarta di copertina).
Inserito l’11/04/2023.
Dal periodico «SNU-INFORMA», n. 5/90
Documento della Segreteria SNU-CGIL Firenze
Il n. 5/90 del periodico del Sindacato Nazionale Università della CGIL uscì con un importante documento della Segreteria fiorentina in appoggio alle rivendicazioni degli studenti palermitani contro la “riforma” governativa del sistema universitario che dava ai privati libero accesso nella gestione delle attività di ricerca e di orientamento didattico degli Atenei.
Il valore del documento non è soltanto politico, ma esso rappresenta anche una fotografia statistica efficace sulla situazione di allora dell’Ateneo fiorentino, una fotografia che fissava in modo inequivocabile i tagli che da anni venivano operati sul diritto allo studio e le ridotte possibilità di accesso degli studenti provenienti dalle classi medio-basse alla formazione universitaria.
Il documento è firmato «Segreteria SNU-CGIL Firenze»: esso fu il frutto di un lavoro collettivo a cui parteciparono i compagni Montagni (segretario), Gallelli e Cimbalo. Leggendolo si noterà la lungimiranza delle posizioni espresse allora dal sindacato di classe e l’attualità anche per l’oggi delle istanze in esso contenute.
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Documento della Segreteria SNU-CGIL Firenze
I lavoratori insieme agli studenti si devono opporre alla privatizzazione dell’Università
Con la costituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica (MURST), già avvenuta con la legge n. 168/89 del 9 maggio 1989, e la recente approvazione del Disegno di legge sull’“Autonomia delle Università e degli enti di ricerca” dal Consiglio del Ministri si è compiuto un grosso passo in avanti verso la privatizzazione dell’Università; un passo compiuto mentre la grande maggioranza dei lavoratori e degli studenti ne ignora la portata antipopolare e antistudentesca.
In cosa consiste la cosiddetta “autonomia”
Già l’uso della parola “Autonomia” è una scelta demagogica per mascherare la privatizzazione dell’Università; con essa si tenta di strumentalizzare la giusta aspirazione dei lavoratori e degli studenti a strappare, a rendere autonoma appunto, l’Università dal Governo, dal suo controllo asfissiante.
Premesso che l’Università continuerà ad essere controllata dal governo attraverso il MURST, c’è da chiedersi a vantaggio di chi andrà l’“autonomia” degli Atenei. Ed è qui che si scopre l’inganno, poiché con il nuovo DDL a farla da padroni nell’Università saranno i privati, i grandi imprenditori, i monopoli, non certo i lavoratori e gli studenti.
Questo avverrà grazie a un duplice meccanismo. Da una parte le baronie universitarie (Rettori, Presidi delle facoltà, lobbies presenti tra i professori ordinari) accentreranno potere e libertà d’azione nelle loro mani attraverso il controllo degli organi dell’Università (Rettore, Senato Accademico, Consiglio d’Amministrazione) e delle strutture dell’Università (Facoltà e Dipartimenti). Questi, d’altra parte, potranno “spendere” il loro potere solo per aprire porte e finestre ai privati. Se non lo faranno (o dove non potranno farlo per mancanza di “offerte”, si pensi al Meridione) dovranno rassegnarsi ad Atenei dequalificati e privi di mezzi, poiché lo Stato ridurrà in modo drastico i già insufficienti finanziamenti. La mancanza dei fondi indispensabili alle proprie attività porrà inevitabilmente le Università alla mercè dei finanziamenti dei suddetti “privati”. Costoro avranno buon gioco nel condizionare elargizione ed entità dei finanziamenti alla creazione di corsi, alla formazione di programmi di studio e di ricerca direttamente legati ai loro interessi e nulla impedirà loro di concentrare tali finanziamenti su quegli Atenei dove operano i baroni universitari a loro legati, magari da contratti di consulenza. E tutto questo con il Disegno di legge sull’“autonomia” potrà avvenire “legalmente” alla luce del sole.
Infatti il DDL prevede la partecipazione dei privati in tutti i settori: quello didattico, della ricerca, dei servizi, finanche con la stipula di convenzioni, contratti, la creazione di consorzi, nonché attraverso l’elargizione di “contributi”.
La selezione nell’Università
Come emerge dall’analisi della situazione nell’Ateneo fiorentino (tavv. 1 e 2 relative all’abbandono degli studi; dalle tavv. 5 e 6 relative agli altissimi aumenti delle tasse studentesche), dall’introduzione e allargamento del numero chiuso nell’Ateneo fiorentino, si va verso una Università sempre più selettiva e meritocratica, dai costi altissimi, col peggioramento delle condizioni di vita e di studio che tocca in particolare gli studenti di estrazione popolare.
L’imminente Legge sugli ordinamenti didattici apre poi la strada ad una Università espressamente selettiva e meritocratica. Prevede l’introduzione di titoli universitari diversificati, una riedizione di un vecchio e mai abbandonato progetto della Confindustria e dei partiti di Governo già proposto negli anni ’60 e ’70 e respinto dalle lotte del movimento studentesco.
Alla laurea tradizionale si affiancherebbero altri due titoli: la cosiddetta “minilaurea” e il Dottorato di ricerca, quest’ultimo già esistente ma che verrebbe rilanciato e sviluppato.
La “minilaurea” o “laurea corta” è un nuovo titolo di studio universitario conseguibile in due-tre anni di corso. Costituirebbe una sorta di “laurea di serie C”, un ghetto per gli studenti più poveri. Con i suoi corsi più brevi, infatti, sarebbe un po’ più alla portata delle loro tasche, avrebbe carattere prevalentemente tecnico-professionale con l’obiettivo di perfezionare la preparazione avviata negli istituti professionali.
Il Dottorato di ricerca è l’altra faccia della “riforma” degli Ordinamenti didattici. Realisticamente, non saranno certo gli studenti di estrazione popolare a poter scegliere il Dottorato di ricerca. Se solo una esigua minoranza di questi riesce a laurearsi, pochi o nessuno possono permettersi il lusso degli altri tre anni di studio, come minimo, necessari per conseguire il titolo. Se a ciò aggiungiamo l’incertezza degli sbocchi occupazionali, non vi sono dubbi che il Dottorato di ricerca è di fatto riservato ai figli delle classi medio-alte. Le borse di studio previste per i dottorandi non mutano affatto questa realtà. Le circa 800.000 lire mensili non bastano assolutamente per poter vivere e sopportare gli onerosi costi dello studio.
Gli studenti nell’Ateneo fiorentino
Situazione Anno Accademico 1988/89
La Facoltà con il maggior numero di iscritti è Architettura che con 11.128 studenti costituisce il 22,82% dell’intero Ateneo (48.749 iscritti).
Seguono, per dimensioni, le Facoltà di Economia e Commercio (5.743-11.78%), Lettere e Filosofia (5.622-11.53%), Giurisprudenza (5.365-11%), Magistero (4.618-9,47%), Scienze Politiche (3.781-7.75%), Scienze MM.FF.NN. (3.391-6,95%), Ingegneria (2.974-6,1%).
Le Facoltà più piccole sono Farmacia (1.040 iscritti pari al 2,13%) e Agraria (1.829-3.75%).
Le immatricolazioni
Se si considerano le immatricolazioni, abbiamo sempre Architettura al primo posto con 2.049 iscritti, pari al 21,15% sul totale delle immatricolazioni dell’Ateneo; Economia e Commercio con 1.349 (13,92%) studenti è al secondo posto mentre Giurisprudenza con 1.181 (12,19%) occupa il terzo posto, seguita da Lettere e Filosofia con 1.029 (10,62%).
Un dato a sé è quello relativo alla Facoltà di Medicina e Chirurgia che, con una percentuale di iscritti pari al 6,04%, scende a una quota del 2,63%; il calo delle immatricolazioni è dovuto al numero chiuso adottato in questa Facoltà.
Se esaminiano la Tav. 3, facendo un raffronto tra le immatricolazioni in questi ultimi 10 anni (1978/1988), vediamo che a Scienze Politiche le iscrizioni sono aumentate del 131% (da 430 a 995 imm.), ad Architettura del 50,3% (da 1.363 a 2.049), a Economia e Commercio del 33,1% (da 944 a 1.257), a Giurisprudenza del 16,8% (da 1.011 a 1,181), a Ingegneria del 9,2% (da 629 a 687). All’ultimo posto troviamo la Facoltà di Scienze MM.FF.NN. col 2,1%.
In tutte le altre Facoltà registriamo un calo delle immatricolazioni. Un forte calo ad Agraria, meno 46%: rispetto alle 548 immatricolazioni dell’A.A. 78/79, solo 256 nell’88/89. Un dato che riflette l’abbandono dell’agricoltura rispetto alle scelte economico-politiche del Governo.
Un calo delle immatricolazioni lo registriamo anche a Magistero, meno 10,9% (da 1.000 a 891) e a Lettere con meno 6,3% (da 1.098 a 1.029), mentre a Medicina il numero chiuso si fa sentire in modo forte con meno 73,8% (dal 975 immatricolati nel 78/79 solo 255 sono i fortunati iscritti a questa Facoltà nell’88/89).
I fuori corso (Tav. 4)
Se si guarda al numero dei fuori corso troviamo ancora al primo posto Architettura con 4.108 studenti, il 36,91% sul totale degli iscritti a questa Facoltà; seguono Lettere con 2.328 (41,40%) e al terzo viene Giurisprudenza con 2.210 (41,19%).
L’indicatore che meglio evidenzia la situazione dei fuori corso è la percentuale calcolata sul totale degli iscritti per Facoltà. Rileviamo allora che i fuori corso nell’Ateneo fiorentino sono 18.046, pari al 37% degli iscritti. Questa media è superata largamente ad Agraria dove i fuori corso sono il 51% e a Medicina il 43,22%, segno che dopo la selezione del numero chiuso la selezione meritocratica si fa sentire fortemente.
La selezione nell’Ateneo fiorentino
Come si può vedere dalle Tavv. 1 e 2 la percentuale degli studenti che abbandona gli studi è molto alta, in particolare nei primi due anni.
Al primo posto c’è Ingegneria: nell’A.A. 87/88 su 582 immatricolati il 37,5% (218) ha abbandonato gli studi, mentre il 32,9% si è reiscritto al 1° anno fuori corso. Praticamente su 582 studenti solo 172 (il 29,5%) ha superato il primo anno accademico.
Al secondo posto troviamo Agraria col 28,5% di abbandono degli studi. Seguono Economia e Commercio con il 27,3%, Scienze MM.FF.NN. con il 24,7%, Scienze Politiche con il 22,7%, Giurisprudenza con il 21,2%.
La media complessiva degli studenti iscritti al 1° anno che non proseguono gli studi è del 20-22%.
Il numero chiuso nell’Ateneo fiorentino
Dopo che il numero chiuso era stato introdotto per la prima volta alcuni anni fa ad Odontoiatria, aumentano a ogni apertura di Anno Accademico le Facoltà che lo adottano.
Prima è stato il turno di Medicina e ora è toccato ad Architettura. Poiché l’opposizione degli studenti contro tale sisura è forte e sentita, tutti i trucchi sono buoni pur di fargliela accettare, magari presentando il numero chiuso sotto altre spoglie, come nel caso di Architettura.
Invece di migliorare i corsi, di aumentare il personale docente e tecnico-amministrativo, di incrementare aule e strutture, del tutto insufficienti ad accogliere gli oltre 2.000 iscritti che si registrano ogni anno, provenienti anche da varie parti d’Italia e specialmente dal Meridione, le autorità accademiche hanno pensato bene di scoraggiare sul nascere le iscrizioni con il “deterrente” del test attitudinale, che una volta ben rodato lascerà certamente il posto al numero chiuso allargandolo ed estendendolo nelle altre Facoltà.
Laureati
Sono pochissimi gli studenti che riescono a terminare gli studi in corso. In media, si laureano in corso solo il 4,82% circa degli studenti. La maggior parte si laurea con 3/5 anni in più di fuori corso.
Rileviamo inoltre come nella Comunità Europea l’Italia si trova al terz’ultimo posto (seguita solo da Portogallo e Paesi Bassi) con la percentuale più bassa (0,13) rispetto ai laureati ogni 100 abitanti (vedi Tav. in copertina).
Le tasse studentesche
Il diritto allo studio viene messo fortemente in discussione anche dalle esose tassazioni. Se ad esse si assomma il costo del libri, delle abitazioni per i fuori sede, dei trasporti, della mensa ecc., la situazione per gli studenti di estrazione popolare è veramente difficile.
Come si può vedere (Tavv. 5 e 6), facendo un raffronto sugli ultimi 10 anni (79-89), l’aumento medio delle tasse studentesche è stato del 677% per gli immatricolati. Se facciamo un raffronto tra il 1982 e il 1989 l’aumento è del 188,7%.
Ancora più penalizzati sono gli studenti fuori corso (il 37% dell’intero Ateneo) che con un solo anno f.c. si troveranno a pagare ben 180mila lire, il 277% in più rispetto all’82: mentre per quelli con 3-4 anni fuori corso la cifra è di 300mila lire, il 328,9% in più rispetto al 1982.
La recente “tassa” sui certificati è veramente vergognosa.
Il diritto allo studio
L’assegno di studio (Tav. 8) concesso su una base di requisiti di merito e di reddito discutibili è solo di un milione per gli studenti che abitano in sede e di un milione e mezzo per gli studenti fuori sede.
Inoltre il numero dei contributi non può superare i 406 per le matricole. Una cosa assolutamente insufficiente ai limiti della sussistenza.
Riguardo alla casa (Tav. 7) nell’Ateneo fiorentino gli studenti alloggiati sono diminuiti rispetto al 1985 (1.087) passando nell’88 a meno il 26,3% (801).
Riguardo alla mensa (Tav. 9) i pasti erogati facendo un raffronto 85-88 da 1.562.635 dell’85 sono passati ai 991.948 dell’88 con il 36,52% in meno.
Cosa proponiamo
Premesso che il diritto allo studio è un problema prioritario degli studenti e che il movimento studentesco si deve muovere in tal senso, come sindacato CGIL Università certo possiamo svolgere un ruolo importante, ma non ci possiamo sostituire al ruolo da protagonista degli studenti.
Ci battiamo per una Università pubblica intesa come servizio sociale destinato a soddisfare le esigenze popolari e nello stesso tempo controllato dalla popolazione, sottratto al dominio del capitale pubblico e privato, delle istituzioni private, comprese quelle religiose, e del Governo che se ne fa garante.
L’Università pubblica a nostro parere è Università della collettività e quindi non è possibile che sia ridotta alle dipendenze del Governo, del suo apparato burocratico-amministrativo, mentre la collettività non vi ha alcuna voce in capitolo.
Noi stiamo a fianco degli studenti nella loro lotta prioritaria per l’esercizio e la tutela di un autentico diritto allo studio, con l’obiettivo della difesa dei livelli di scolarizzazione già acquisiti e del loro sviluppo sino a renderli di massa.
È veramente grave che sia impedito a centinaia di migliaia, a milioni di giovani di acquisire livelli dignitosi di istruzione fino a raggiungere quello universitario, per una selezione di censo e di classe che colpisce i ceti popolari. Ed è assai più grave che le giovani generazioni siano tagliate fuori dal lavoro e condannate alla disoccupazione e al lavoro precario.
Ecco perché come sindacato siamo impegnati insieme agli studenti a salvaguardare insieme al diritto allo studio il diritto al lavoro.
Lo Stato deve garantire ai figli dei lavoratori l’accesso e la permanenza fino ai livelli più alti di istruzione anche attraverso la gratuità di trasporti, mense, alloggi, etc. e attraverso sussidi economici integrativi per gli studenti poveri.
Siamo contrari alle Università private, ma non possiamo impedirne la presenza. Esse, tuttavia, dovranno essere considerate società private a tutti gli effetti, escluse da qualsiasi finanziamento e trattamento di favore da parte dello Stato.
Riteniamo che vada sviluppata la politica degli investimenti in tutto il settore dell’istruzione statale fino a quello universitario, finalizzata alla costituzione di stutture adeguate. Ci riferiamo all’edilizia e ai servizi come le mense, le biblioteche, gli impianti sportivi etc., alle attrezzature come laboratori e quant’altro favorisca un apprendimento vivo e un metodo di studio agli antipodi del nozionismo.
Le strutture, il patrimonio universitario essendo patrimonio della collettività dovranno essere a disposizione per attività politiche ed iniziative sociali e culturali a carattere locale e cittadino.
L’Università deve appartenere agli studenti.
Gli studenti devono contare davvero nella gestione dell’intera struttura universitaria e nelle scelte relative ai contenuti, ai metodi, agli obiettivi dell’attività didattica e scientifica come dimostrano le occupazioni di tante Facoltà universitarie di Palermo, una lotta giusta che appoggiamo e sosteniamo. Devono essere liberi di discutere e decidere autonomamente le scelte politiche e culturali, gli indirizzi del processo educativo, culturale e scientifico.
Non è ipotizzabile un passaggio delle redini dell’Università nelle mani degli studenti se quest’ultimi non riusciranno a strappare alle baronie universitarie, alle forze della reazione e della conservazione l’egemonia culturale, politica e organizzativa nelle Università, se gli studenti non riusciranno a proporsi come autorevole forza egemone di un ampio schieramento progressista insieme al personale tecnico-amministrativo e docente progressista dell’Università.
Il nostro rapporto con gli studenti
Esiste un rapporto stretto tra le nostre rivendicazioni e la lotta degli studenti per una Università democratica e di massa.
Per questo noi sottoscriviamo un patto unilaterale con l’utenza a partire dai nostri obiettivi, come parte integrante della lotta per la difesa dello Stato sociale, contro i tentativi di privatizzazione e di eliminazione del conflitto sociale che servono solo a lasciare mano libera nei processi di ristrutturazione e di restringimento dei servizi sociali.
Agli studenti noi diciamo con grande forza: le nostre lotte, le nostre rivendicazioni sono dirette a migliorare la qualità del servizio, rendendolo efficace e fruibile per tutti gli utenti.
La funzionalità e l’efficienza delle strutture universitarie e quindi qualità e quantità delle prestazioni di lavoro, vanno determinate a partire dal carattere pubblico dell’Università e della natura sociale del servizio erogato.
“Cosa, come, per chi produrre” costituiscono un interrogativo al quale la CGIL, come sindacato confederale e di classe, non può sottrarsi.
Funzionalità della didattica rispetto all’utenza studentesca, lotta contro il burocratismo, superamento dei ritardi, efficienza ed alta capacità nella ricerca di base e applicata sono nostri obbiettivi.
La funzionalità va commisurata sulla crescita culturale di massa, l’educazione permanente, la formazione di approcci critici, l’utilità sociale della ricerca, l’autonomia di didattica e ricerca da interessi di gruppi e potentati economici e politici ed anche rispetto all’aumento del rapporto laureati/iscritti, creando le condizioni per aumentare il numero dei laureati.
Il personale tecnico-amministrativo e docente dell’Ateneo fiorentino organizzato nel SNU-CGIL è disponibile ad un impegno comune con gli studenti e le loro espressioni di movimento e/o organizzate, dichiara la propria disponibilità a confrontare con gli studenti le proprie proposte rivendicative.
Per una Università democratica
Nel solco del grande movimento studentesco del ’68, ma anche e direi soprattutto del grande movimento operaio iniziatosi nel 1969 e protrattosi per tutta la prima metà degli anni ’70, ci siamo battuti per una Università democratica, di massa, al servizio delle masse popolari e del Paese.
Noi non dimentichiamo (e ci auguriamo che ne facciano tesoro anche le nuove generazioni di studenti) che vi è stato un momento nella vita dell’Università italiana nel quale la democrazia diretta e di base del movimento studentesco si affiancava all’impegno di scienziati e docenti per affermare un sapere critico; confortati, la democrazia e l’impegno, dal controllo esterno esercitato attraverso la presenza viva nel paese di grandi momenti di mobilitazione operaia e popolare.
La nostra concezione dell’autonomia esclude ipotesi che introducano logiche privatistiche nella Università pubblica.
L’autonomia può svolgere un ruolo solo all’interno di una politica centrale di programmazione dello sviluppo del servizio universitario, di una politica di aumento delle risorse distribuite in modo compensativo così che non si formino situazioni diversificate tanto da non assicurare il conseguimento di standards formativi uniformi su tutto il territorio nazionale.
La ricerca applicata deve rispondere a finalità di sviluppo e di controllo e non alle “spontanee” domande del mercato.
Nella nostra concezione gli studenti non sono soltanto “utenti”: sono i principali protagonisti della vita universitaria, sia nel momento della formazione di base, sia quando riescono a trasformarsi essi stessi in ricercatori nel corso dei loro studi. Una reale autonomia universitaria deve assegnare loro (e non solo perché sono cittadini maggiorenni) un ruolo decisivo nell’autogoverno.
Ai docenti e ricercatori universitari nel loro insieme, senza assurde e reazionarie distinzioni sul piano della partecipazione, in quanto intellettuali impegnati nella formazione delle nuove generazioni e scienziati, va riconosciuto appieno il ruolo che essi svolgono nell’orientare gli studi e le ricerche anche nel governo universitario.
Al personale tecnico-amministrativo deve essere riconosciuta la piena dignità del lavoro e il pieno diritto a partecipare alla vita universitaria.
Firenze, 15 gennaio 1990
La segreteria del SNU-CGIL
(Tratto da «SNU-INFORMA», periodico a cura della Segreteria fiorentina SNU-CGIL, n. 5/90).
Inserito il 31/07/2023.
Il bollettino «Movanta Ateneo» (detto anche «MovantAteneo») mirò a raccogliere le voci delle varie Facoltà, occupate e non occupate, dell'Università degli Studi di Firenze.
C’era già stato un numero Zero realizzato a febbraio che però non abbiamo ancora a disposizione.
Come si può vedere sfogliando le varie pagine, si tratta di una pubblicazione ricca di contenuti, che non si limitano alle questioni interne del Movimento (uno Speciale sull'Assemblea nazionale della Pantera), alle rivendicazioni e alle contestazioni della “riforma” del ministro Ruberti, ma parla dell’attualità in città (episodi di intolleranza razziale), pubblica poesie e vignette, racconti, cronache, analisi ed approfondimenti.
Il numero è introdotto da un ironico e provocatorio “Controeditoriale” che rovescia la logica del senso del giornale che si ha in mano, presentandolo come conseguenza dei desideri repressi, della volontà di protagonismo e delle frustrazioni dei membri della redazione che, stanchi di militare in giornaletti di Facoltà, cercano di mettersi in bella mostra nei confronti della stampa titolata.
Tra le poesie pubblicate spicca quella di Hasan Atiya al Nassar, il nostro Hasan, scomparso prematuramente il giorno di Natale del 2017. Poeta e scrittore irakeno in esilio perché fiero oppositore della dittatura di Saddam Hussein, che aveva tra l’altro assassinato suo fratello, Hasan era un attivo membro del nostro collettivo Studenti di sinistra di Lettere, ed era un assiduo frequentatore della Facoltà, in cui arrivava sempre con uno zaino carico di libri, giornali, fotocopie, opuscoli, una vera cornucopia da cui tirava sempre fuori qualche nuovo verso composto il giorno prima. Ad Hasan dedicheremo su questo sito una pagina, ma intanto riproduciamo qui la poesia pubblicata su questo numero di «Movanta Ateneo».
Una serie di articoli affronta una questione che divenne di stringente attualità in quei giorni in città, e anche la copertina fu ad essa dedicata. Col titolo Anche la Pantera ha la pelle nera si voleva affermare la piena solidarietà del Movimento nei confronti degli immigrati che avevano subito aggressioni razziste nel centro della città.
Nel numero compariva anche una sezione speciale dedicata ai documenti dell’Assemblea Nazionale del movimento della Pantera.
Riportiamo alcuni materiali tratti da questo numero di «Movanta Ateneo».
del Movimento Studentesco fiorentino
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Contro la politica razzista e repressiva del sindaco Morales
La manifestazione razzista dei 4000 “cittadini indifesi”.
Le ripetute aggressioni notturne contro gli immigrati extracomunitari.
I volantini e le scritte fasciste apparse in questi ultimi giorni sui muri della città.
La risposta antidemocratica del sindaco Morales e delle istituzioni nei confronti del problema.
Il clima poliziesco, chiusura del centro storico agli ambulanti immigrati, maggiori misure di controllo (espulsioni di chi non ha regolare per messo di soggiorno).
Tutto questo è espressione del crescente atteggiamento razzista e repressivo della società e delle istituzioni. Si vuol fare degli immigrati il capro espiatorio dei problemi sociali di cui essi sono vittime (spaccio di droga, commercio abusivo).
Gli studenti esprimono solidarietà alle comunità degli immigrati e non solo denunciano tutto ciò, ma vogliono anche farsi promotori di una cultura che affermi il valore della differenza, multietnica e multirazziale. Si deve prendere coscienza del fatto che l’immigrazione è dovuta allo sfruttamento economico del nord nei confronti del sud del mondo, sfruttamento che genera povertà e disoccupazione.
Il movimento degli studenti occupanti di Firenze propone una settimana di lotta antirazzista affinché questa serva a mobilitare la cittadinanza a sostegno delle richieste degli immigrati.
Il Movimento Studentesco fiorentino
(Tratto da «Movanta Ateneo», n. 1, 13 marzo 1990).
Inserito il 04/05/2024.
di Claudio (Eco 90) e Fabrizio V. (Lettere)
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Firenze-Soweto
Firenze si scopre razzista. Il pestaggio della notte di Carnevale, compiuto da decine di individui ai danni di cittadini extracomunitari e stigmatizzato dalle autorità (questore Fiorello e sindaco Morales) come “bravata di alcuni ragazzi”, è sintomatico della tensione razzista che si respira da tempo a Firenze.
Firenze è razzista. Questo lo hanno capito, oltre ai partiti tradizionalmente reazionari, anche le forze progressiste ma esse non hanno tuttavia preso una posizione decisa contro questi atti di violenza.
Soprattutto vige oggi un clima da campagna elettorale: chi non ha voto non conta mentre il voto razzista fa gola a tutti.
È ora di scendere in campo accanto agli extracomunitari. Di far parlare le coscienze democratiche. È ora di rompere il muro dell’indifferenza e dell’ignoranza, che alimentano questi atti e li fanno passare sotto silenzio. Informazione, sensibilizzazione, solidarietà; parlare con la gente, ritrovarsi nelle strade, fermarsi e capire: questi sono i passi che dobbiamo compiere ogni giorno, ogni momento.
Il razzismo non è solo nel gesto di pochi: è nel silenzio consenziente di molti.
Come tale deve essere estirpato, perché non rifiorisca due metri più in là, sotto altro nome e altro segno.
Claudio (Eco 90), Fabrizio V. (Lettere)
(Tratto da «Movanta Ateneo», n. 1, 13 marzo 1990).
Inserito il 04/05/2024.
di Hasan Atiya al Nassar
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I
I veleni delle città d’occidente mi inseguono.
La ragazza del Sud ritorna con i suoi abiti agresti.
Là un cuore annega nella nebbia d’Oriente
gli si accostano velieri
che non salperanno più vestiti di stracci.
II
Tu sei triste tra muri di libri
non guardi più verso la finestra.
Tu sei triste e il mattino
ti inonda di sole di terre, di alberi ed acque
ti porta via la vasta geografia del mondo.
Forse sei stata sola e persa
ma adesso sei triste
ed io ho perso tutte le mie forze.
Volevo infiltrarmi in una nuvola
e in una foresta silenziosa e tranquilla
in un fiore caduto un giorno per la strada.
Lontana era la sera, e tu abbracciasti
il silenzio e uno strano torpore
(ed eri vittima del silenzio e di quello strano torpore?)
* * *
Lontani sono quei momenti portati dalla leggerezza del vento
Spine stanno sui pori della mano
mi fanno male queste tenebre, e il dolore nascosto nel cuore
Mi fanno male le città che si avvolgono su se stesse
come un turbine
E colpi segreti che si muovono nell’animo
Mi sforzo con la mia tristezza
per spingere i sassi che vagano verso il cuore
tormento degli anni, e le rovine dell’esilio
Spada insanguinata
Quante volte ho maledetto queste cose
Ho sentimenti e dolcezza voglio allontanare da te l’iniquità e la timidezza
Voglio stare tra le tue braccia come un uccellino impaurito.
Hasan Atiya Al-Nassar (Lettere)
11 marzo1990, Firenze
(Tratto da «Movanta Ateneo», n. 1, 13 marzo 1990).
Inserito il 04/05/2024.
Continuiamo ad arricchire il nostro progetto di Archivio del movimento della Pantera di Lettere e Filosofia di Firenze riproducendo il numero 2-3 del bollettino «Movanta Ateneo», che raccoglieva le voci delle varie Facoltà, occupate e non occupate, dell'Università degli Studi di Firenze.
In questo numero, dalla copertina dominata da una bella pantera nera, continua a dominare il tema del razzismo emerso in diverse occasioni in città nei confronti soprattutto di ambulanti immigrati, i cosiddetti (allora, ma forse ancor oggi) ”vucumprà”. A spiccare è un’intervista a più voci con dei ragazzi, immigrati e italiani, che erano in sciopero della fame in una tenda di Piazza Duomo contro l’inerzia delle istituzioni riguardo al tema del razzismo e alle politiche per una efficace integrazione nel tessuto socio-economico della città; un tema, del resto, ancor oggi di stringente attualità e tutt’altro che risolto.
A sostegno della lotta degli immigrati la Pantera organizzò il 21 marzo un concerto partecipatissimo, e anche di questo si dà conto sul bollettino.
Non manca un resoconto sulla manifestazione nazionale a Napoli del 17 marzo a Napoli, che vide la partecipazione di 50.000 fra studenti e lavoratori, e un aggiornamento delle attività del movimento nelle diverse facoltà fiorentine.
L’instancabile passione di una grande fiorentina
di Maria Beatrice di Castri
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Pacifista, comunista nel senso più nobile e profondo, e così altrettanto profondamente cristiana (“cattolica” mi sembra termine troppo confessionale e riduttivo), attenta veramente ai diritti e ai bisogni degli ultimi, Anna Nocentini è stata per me prima di tutto – prima di incontrarla alla Badia Fiesolana da Ernesto Balducci, prima di condividere insieme tante manifestazioni, tante iniziative che lei promuoveva e/o sosteneva con tanta energia e dedizione e prima di sottoscrivere con convinzione la sua candidatura per il Consiglio comunale – una delle segretarie più efficienti del dipartimento di Scienze dell'Antichità della facoltà di Lettere; le prime immagini di lei sono legate a piazza Brunelleschi, al sostegno e ai consigli che mi ha saputo dare, e non solo ovviamente a me. Era un punto di riferimento anche per la sua penetrante capacità di ascolto, e potrei citare diversi episodi in merito. E ricordo gli scambi proficui durante il movimento della “Pantera” del Novanta. Altri dicono, diranno, ricorderanno molto più e in modo molto più appropriato di me, diranno della sua coerenza, della sua testimonianza tenace nelle cause giuste, per cui si lotta anche a prescindere dal risultato. Ma io voglio ricordarla anche così, con la sua professionalità di impiegata laureata (se non sbaglio in Storia della Lingua), i riccioli allora ancora neri, la sua sigaretta, i suoi occhiali. E quell'affetto insieme trattenuto e debordante che ha saputo infondere al mondo che la circondava. Grazie di tutto, Anna. Non ti dimenticheremo.
Maria Beatrice di Castri
(Tratto dalla pagina Facebook di Maria Beatrice di Castri, 20 novembre 2024).