Materiali per una rivoluzione culturale
«Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia».
don Lorenzo Milani
Magri, Rossanda, Milani e Castellina nel 1969.
Fonte della foto: https://ilmanifesto.it/idiosincrasie-di-rossana-giornalista
In questa intervista del 2013 al quotidiano la Repubblica Rossana Rossanda parlava di come la mancata comprensione tra vecchie e nuove generazioni l’avesse portata alla rottura con la nuova direzione del quotidiano da lei fondato, il manifesto. E di quanto ancora bruciassero le rotture del passato, come quella con Lucio Magri: rottura politica sì, ma che non ha interrotto un’amicizia personale che l’ha condotta ad accompagnarlo nell’ultimo viaggio dopo la scelta del suicidio assistito.
Dal quotidiano «l’Unità»
intervista a cura di Umberto De Giovannangeli
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In vista dei referendum su lavoro e cittadinanza dell’8 e 9 giugno, la maggioranza di governo invita a disertare le urne. Per Meloni e i suoi alleati, infatti, il successo dei referendum pregiudicherebbe il boom dell’occupazione ottenuto in questi anni. Ma è proprio così? Ne parliamo con l’economista Emiliano Brancaccio dell’Università Federico II di Napoli, che sui legami tra precarietà e occupazione ha pubblicato ricerche d’avanguardia e ha tenuto importanti dibattiti presso la Scuola Superiore della Magistratura, con Tiziano Treu e altri fautori della flessibilità.
Dal sito «BarBalcani»
di BarBalcani
MA A VOI SEMBRA NORMALE che un Primo Ministro “socialista” albanese si inginocchi al cospetto della Presidente del Consiglio fascista italiana?
Il premier Edi Rama era già sulla bocca di mezza Europa per un controverso accordo con il governo italiano riguardo all’emigrazione. Ma se all'estero è spesso ammirato, è dentro i confini nazionali che va cercata la sua vera natura.
Dal sito «fatamorganaweb.it»
Micaela Latini recensisce il volume
Ernst Bloch
Da Kant a Marx
Lezioni di storia della filosofia moderna
(Mimesis Edizioni, 2024)
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«Il volume raccoglie le lezioni sulla storia della filosofia moderna tenute da Bloch tra il 1951 e il 1956 all’Università di Lipsia. Da Kant fino a Marx, gli autori e gli argomenti affrontati vengono analizzati attraverso le categorie tipiche della speculazione filosofica blochiana, quali la non-contemporaneità, la maturazione tardiva e il marginale, strumenti sensibili a rintracciare le fenditure dove possono nascondersi nuclei utopici forieri di ulteriori sviluppi. Questo emerge fin dalla trattazione della filosofia kantiana, ma anche delle problematiche dell’idealismo, che si presentano dense di significato utopico. Persino l’analisi della dissoluzione dell’hegelismo evidenzia tratti di grande originalità, dovuti al fatto che un pensiero della speranza, come quello di Bloch, non può evitare il confronto con le filosofie della catastrofe (Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche) e con il loro conclamato pessimismo. Bloch conclude il suo percorso rintracciando nella concezione marxiana della storia la ricerca di quell’utopia concreta che sarà la cifra del suo stesso pensiero» (dalla quarta di copertina del volume).
Dal quotidiano «il manifesto»
di Guido Caldiron
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Un percorso di lettura tra nuovi linguaggi e suggestioni narrative. Tre libri sulle periferie francesi tra sfida sociale e immaginario. Sguardi diversi per narrarle soprattutto dall’interno.
La Grande Borne, Grigny, regione di Parigi.
La separazione tra élite e periferie mina la République. Il conflitto urbano, che nel dopoguerra era promosso e strutturato dalla sinistra, oggi ha preso altre strade e ha altri protagonisti, ed è difficile trovare percorsi comuni. E qui è la sinistra ad avere le più grandi responsabilità, non avendo saputo trovare modalità di adattamento alle specificità delle nuove popolazioni che abitano queste vaste aree urbane.
Anni ’80: Bulgaria e Romania divise dal Danubio e da un impianto chimico
🔴 di Leandro Casini 🔴
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Come sei donne avviarono una battaglia ecologista che mise in crisi i rapporti fra Todor Živkov e Nicolae Ceauşescu in piena perestrojka. Come la popolazione di Ruse e l’opinione pubblica bulgara misero in discussione la capacità del Partito comunista e del governo di salvaguardare la salute dei cittadini e la qualità dell’aria. E come proprio sulle questioni ecologiche sorse il primo movimento di opposizione in Bulgaria.
Dišaj (Respira) è un documentario di Juri Žirov che nel 1987-88 registrò le manifestazioni di protesta dei cittadini di Ruse contro le autorità accusate di ritardare le iniziative per costringere la Romania a chiudere il dannoso impianto chimico di Giurgiu, sull’altra sponda del Danubio.
Dal sito «{Parentesi storiche}»
Caterina Mongardini recensisce il volume
RUSSOFOBIA
MILLE ANNI DI DIFFIDENZA
di Guy Mettan
Introduzione di Franco Cardini
(Sandro Teti Editore, 2016)
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La russofobia non è un fenomeno nato nel 2022, con la fase acuta del conflitto tra Russia e Ucraina, ma ha radici antiche di almeno mille anni, quando ben altri imperi sorgevano nello spazio eurasiatico. Nel 2016 un documentato volume dello storico svizzero Guy Mettan, edito da Sandro Teti, analizzava questo ricorrente approccio occidentale nei confronti dell’orso (o meglio orco?) russo.
Da «il Fatto Quotidiano»
«Sommaria» l’idea di Mattarella di un parallelo tra Germania nazista e Russia. La propaganda bellica degli ultimi tre anni in Italia porta alla superficialità e alla distorsione della realtà storica.
Da «il Fatto Quotidiano»
L’ex corrispondente Rai da Mosca racconta come la tv di stato italiana ha ostacolato il suo lavoro, che era quello di informare sulla guerra, le sue cause, i suoi sviluppi, le sue possibili conseguenze.
Da «il Fatto Quotidiano»
La professoressa dell’Università di Genova parla di come sia sempre più difficile occuparsi di letteratura russa in Italia dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Come se lingua e letteratura russe avessero una qualche responsabilità.
Dalla rivista «Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe» riprendiamo un approfondito articolo di Renato Strumia che traccia un quadro (desolante) della situazione lavorativa, contrattuale e salariale in Italia.
Alì Rashid (n. 1953),
Fonte della foto: profilo Facebook di Alì Rashid.
Dal periodico «Sinistra Sindacale»
Intervista a cura di Frida Nacinovich
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Alì Rashid, ex deputato PRC alla Camera, primo segretario della Delegazione generale della Palestina in Italia, fa il punto sulla situazione disperata che attanaglia il popolo palestinese.
«Netanyahu è solo l’evoluzione di quello che Israele è sempre stato, il popolo eletto a cui Dio ha dato questa terra, che ha commesso delle atrocità. Cosa ci si dovrebbe aspettare da chi vive assediato da decine e decine di anni, da chi sta morendo lentamente, giorno dopo giorno? I palestinesi non possono sparire in silenzio»
4 (17) aprile 1917, Pietrogrado, Palazzo di Tauride. L’intervento in cui Lenin illustra le Tesi di aprile davanti al Soviet dei deputati degli operai e dei soldati di Pietrogrado.
Fonte della foto: canale Telegram Коммунистический мир.
Il 17 aprile 1917 V.I. Lenin intervenne a una riunione dei bolscevichi – partecipanti alla Conferenza panrussa dei Soviet dei deputati degli operai e dei soldati – con una relazione intitolata Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale, che in seguito passò alla storia col nome di Tesi di aprile.
Le Tesi di aprile fornirono risposte alle domande più importanti dell’epoca: sulle vie d’uscita dalla guerra imperialista, su una nuova forma di potere statale, sull’attuazione di misure economiche urgenti che rappresentassero i primi passi verso il socialismo, sulla lotta contro la fame e la devastazione, sulla tattica del partito sulla via della rivoluzione socialista.
Lenin delineò un piano concreto per la transizione dalla rivoluzione democratico-borghese alla rivoluzione socialista, che avrebbe dovuto trasferire il potere nelle mani della classe operaia e dei contadini poveri. Dopo aver assegnato tale compito, V.I. Lenin ha fondato teoricamente l’essenza della Repubblica dei Soviet come forma politica della dittatura del proletariato. Inoltre, Lenin formulò le piattaforme politiche ed economiche del partito bolscevico, i compiti del lavoro di agitazione e propaganda, la costruzione del partito, una decisa distinzione dai socialsciovinisti e la creazione dell’Internazionale comunista.
Vladimir Il’ič Lenin, Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale. “Tesi di aprile” (1917) >>> vai all’articolo >>>
Una storia dell’emigrazione italiana in Nuova Zelanda
🔴 di Antonella Sarti 🔴
Ringraziamo calorosamente Antonella Sarti, scrittrice, critica letteraria, traduttrice di letteratura neozelandese e maori, per averci segnalato questa particolarissima storia…
Già docente presso il Liceo scientifico “Rodolico” di Firenze, Sarti collabora con la Victoria University di Wellington. Ma di Antonella ci preme ricordare anche la sua grande passione per lo studio della Resistenza, soprattutto nel territorio apuano, da cui ha tratto ispirazione per il romanzo Dalle cime al mare (Effigi, 2012).
Numerose le sue traduzioni, i saggi critici e le curatele di volumi di poesia e letteratura maori. Tra i numerosi titoli ricordiamo Piccoli buchi nel silenzio di Hone Tuwhare o Sciame di stelle. Poetesse maori contemporanee (Ensemble, 2020).
Paolo Mencarelli
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C’è un club a Wellington… il Club Garibaldi
Il motto è: “Fratellanza, Educazione, Lavoro”
di Antonella Sarti
Il Club Garibaldi è il più antico club culturale italiano dell’emisfero sud.
Fu fondato nel 1882 e registrato nel 1883 da alcuni fra i primissimi italiani che si stabilirono sulla costa attorno alla capitale neozelandese, Wellington, ed in particolare nei quartieri marini di Eastbourne ed Island Bay. La maggior parte di loro erano pescatori provenienti da Massa Lubrense e paesini limitrofi, altri dall’isola di Stromboli. Ma tra i fondatori dello storico club ci furono soprattutto ex garibaldini (da cui il nome dedicato) e seguaci repubblicani dell’eroe nazionale, che avevano preferito vivere in esilio anziché sottostare al governo del re sabaudo. La prima riunione per organizzare il club avvenne un mese dopo la morte di Giuseppe Garibaldi. Fu scelta come sede Courtnay Place, centrale nella capitale della Nuova Zelanda, la quale fu proclamata Stato ufficiale e Dominio della Corona Britannica, a seguire il Trattato di Waitangi, nel 1840. Dunque, uno dei primi club in assoluto in Aotearoa NZ!
Il primo presidente del Garibaldi Club era il signor Cenci, il vice presidente il signor Innocenti, il segretario Mr George Robertson (originario di Livorno e di doppia cittadinanza italo-britannica) e a seguire fra i membri fondatori: rappresentanti delle famiglie Cimino, Della Barca e Scaramelli. La famiglia Scaramelli era particolarmente vicina a Garibaldi, e una discendente di Telene Elvira Maria Scaramelli (emigrata in Nuova Zelanda nel 1870, fra i 150 cittadini livornesi ai quali il governo britannico aveva offerto il viaggio gratuito), di nome Michela Sgarallino, conserva ancora preziosi cimeli donati da Garibaldi alla sua famiglia, nel Museo Sgarallino di Livorno. Lo scorso anno Michela ha visitato la Nuova Zelanda per far luce sulle connessioni storiche e familiari con il Club Garibaldi. Ha incontrato Geoffrey Patrick Scaramelli, nato a Wellington e discendente di entrambe le famiglie, Scaramelli e Sgarallino, il quale è uno storico ed ha fatto molta ricerca sul tema.
Il motto ispiratore del Club Garibaldi era “Fratellanza, Educazione, Lavoro”.
Il Club è tuttora attivo e prospero, ed assieme al Circolo Italiano (affiliato alla Società Dante Alighieri) si occupa della promozione della lingua, cultura e tradizioni italiane a Wellington. Si trova adesso non distante dal primo luogo di incontro, all’incrocio fra Vivian Street e Tory Street, e nella sua sala principale si legge a grandi lettere lo slogan “Qui tutto bene” (un commento che accomunava molte lettere dei primi emigrati italiani).
Antonella Sarti
Dal quotidiano «il manifesto»
(Edizioni Punto Rosso, Milano, 2025)
recensione di Guido Liguori
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György Lukács è ancora abbastanza noto in tutto il mondo come filosofo marxista, studioso di estetica, storico e teorico della letteratura. Egli fu però anche un politico in atto, un rivoluzionario, almeno in due momenti fondamentali della sua vita – restando per il resto sempre un militante convinto, costretto dallo «stalinismo» a celare prudentemente le proprie opinioni.
1945. Carri armati jugoslavi a Trieste.
Fonte della foto: https://confinepiulungo.it/18-la-corsa-per-trieste/
Dal sito «volerelaluna.it»
Memorie della Liberazione
di Sergio Bologna*
Aveva 8 anni lo storico Sergio Bologna quando assisté da vicino alla liberazione di Trieste da parte dei partigiani jugoslavi. Di quegli anni e dei suoi ricordi di bambino parla un questo toccante articolo di qualche anno fa.
Siamo pubblica utilità
Chiediamo la dichiarazione della pubblica utilità sull’area ex Gkn da parte del nascente Consorzio industriale pubblico della piana fiorentina. Per dare in gestione l’area a chiunque la voglia veramente reindustrializzare.
Siamo pubblica utilità…
1. A salvaguardia del “saldo occupazionale del territorio”: 400 posti di lavoro sono stati bruciati da logiche speculative. 400 posti di lavoro devono essere ricreati.
2. A difesa del territorio: perché la fabbrica ha consumato il suolo e questo consumo non può essere ridotto a mero estrattivismo. Su quel suolo ormai “consumato” dall’immobile fabbrica, deve sorgere benessere sociale, lavoro, diritti.
3. Per la transizione climatica dal basso, reale: se reindustrializzazione deve essere, si riparta da prodotti ecologicamente avanzati.
4. Per uno degli esperimenti sociali più avanzati nel contesto dato: la fabbrica socialmente integrata, basata su forme di controllo operaio, sociale, dal basso.
5. A guardia di una alternativa: perché la ex Gkn mostra un esempio contagioso di uscita dalla crisi dell’automotive e fortemente alternativo alla follia della conversione bellica dell’industria.
6. A impulso della narrazione della nostra classe, della nostra memoria, di una prospettiva: il polo della cultura working class che riunisca archivi operai, progetti documentaristici, letteratura e storia operaia e delle lotte sociali.
7. Perché abbiamo un piano. L’unico.
8. Perché le fabbriche non possono vivere “consumando i territori”, i territori non devono lasciare che la speculazione “consumi” le proprie fabbriche.
9. Perché una produzione ecologicamente avanzata non può vivere se non cambiando il mondo attorno: che la fabbrica socialmente integrata sia impulso e interfaccia delle comunità energetiche e del cicloattivismo.
10. Perché fabbriche aperte e organizzate fanno comunità solidali e consapevoli. Fabbriche aperte, teatri, circoli, e case del popolo vive, territori sicuri.
Perché se si vince qua, si cambia i rapporti di forza a favore di tutte e tutti.
(Tratto dalla pagina Facebook del Collettivo di Fabbrica – Lavoratori Gkn Firenze, 07/04/2025).
Da «JACOBIN Italia»
di Ken Loach
«La lotta per la coscienza di classe è ormai cruciale: è la nostra arma contro il fascismo», dice Ken Loach nella lettera che ha inviato al Festival di letteratura working class che comincia oggi alla Gkn di Campi Bisenzio.
«Howard Zinn (1922-2010) è stato uno scrittore radicale americano newyorkese di inclinazioni socialiste libertarie e provenienza da una famiglia di immigrati ebrei europei (dall’Austria e dalla Siberia). Dagli anni Sessanta prese parte attivamente al movimento per i diritti civili, sia nel ruolo di docente di Storia sia in quello successivo di docente di Scienze politiche. Prese posizioni coraggiose e personalmente costose contro la discriminazione razziale e la guerra del Vietnam.
Il suo testo più famoso, Storia del popolo americano dal 1492 ad oggi, è uno straordinario affresco dell’intera storia degli Stati Uniti, fino ai primi anni di Bush junior, descritta sotto il profilo della storia popolare. Ovvero della storia delle lotte e mobilitazioni popolari e delle diverse forme di oppressione che sono state praticate nella storia del paese. È quindi, e soprattutto, una storia dei dispositivi di controllo sociale e di formazione e dominio delle élites e di formazione e sfruttamento di sempre nuove ineguaglianze e colonie interne. Anzi, di controllo proprio rendendo funzionali le ineguaglianze interne tramite il sistematico spostamento su altro della natura economica di queste».
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Pagine: 156
Codice ISBN:
9791259677587
Prezzo cartaceo: € 12
Data pubblicazione: 08-04-2025
A cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti
Prefazione di Ilan Pappé
Con interventi di Susan Abulhawa e Chris Hedges
Traduzione dall’arabo di Nabil Bey Salameh
Traduzione dall’inglese di Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni
La poesia come atto di resistenza. La forza delle parole come tentativo di salvezza. È questo il senso più profondo delle trentadue poesie di autori palestinesi raccolte in questo volume, in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023, nella tragedia della guerra in Palestina, in condizioni di estrema precarietà: poco prima di essere uccisi dai bombardamenti, come ultima preghiera o testamento poetico (Abu Nada, Alareer), mentre si è costretti ad abbandonare la propria casa per fuggire (al-Ghazali), oppure da una tenda, in un campo profughi dove si muore di freddo e di bombe (Elqedra). Come evidenzia lo storico israeliano Ilan Pappé nella prefazione, «scrivere poesia durante un genocidio dimostra ancora una volta il ruolo cruciale che la poesia svolge nella resistenza e nella resilienza palestinesi. La consapevolezza con cui questi giovani poeti affrontano la possibilità di morire ogni ora eguaglia la loro umanità, che rimane intatta anche se circondati da una carneficina e da una distruzione di inimmaginabile portata». Queste poesie, osserva Pappé, «sono a volte dirette, altre volte metaforiche, estremamente concise o leggermente tortuose, ma è impossibile non cogliere il grido di protesta per la vita e la rassegnazione alla morte, inscritte in una cartografia disastrosa che Israele ha tracciato sul terreno». «Ma questa raccolta non è solo un lamento», nota il traduttore Nabil Bey Salameh. «È un invito a vedere, a sentire, a vivere. Le poesie qui tradotte portano con sé il suono delle strade di Gaza, il fruscio delle foglie che resistono al vento, il pianto dei bambini e il canto degli ulivi. Sono una testimonianza di vita, un atto di amore verso una terra che non smette di sognare la libertà. In un mondo che spesso preferisce voltare lo sguardo, queste poesie si ergono come fari, illuminando ciò che rimane nascosto». Perché la scrittura, come ricordava Edward Said, è «l’ultima resistenza che abbiamo contro le pratiche disumane e le ingiustizie che sfigurano la storia dell’umanità».
Il libro è anche un’iniziativa concreta di solidarietà verso la popolazione palestinese. Per ogni copia venduta Fazi Editore donerà 5 euro a EMERGENCY per le sue attività di assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza.
«Posso scrivere una poesia / con il sangue che sgorga».
Yousef Elqedra
«La libertà per cui moriamo / non l’abbiamo mai sentita».
Haidar al-Ghazali
«La poesia nella mia prigione / È nutrimento / È acqua e aria».
Dareen Tatour
«Se devo morire, / che porti speranza, / che sia una storia».
Refaat Alareer
«Leggete queste poesie non solo con gli occhi, ma con l’anima. Ascoltate la loro musica, il loro ritmo sottile. Che siano per voi un ponte verso la comprensione, un inno alla dignità, e un ricordo che la bellezza, anche nelle situazioni più difficili, può ancora fiorire».
dalla nota del traduttore Nabil Bey Salameh
«Forse questa raccolta contribuirà a erodere in qualche misura lo scudo di silenzio e disinteresse che garantisce immunità ai responsabili del genocidio a Gaza».
dalla prefazione di Ilan Pappé
«Non credete che nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU anziché i paesi che hanno la bomba atomica sarebbe più giusto mettere quelli che sono riusciti pur massacrati dai bombardamenti a scrivere queste poesie bellissime?».
Luciana Castellina
Curata da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti, questa raccolta propone una selezione di poesie di dieci autori palestinesi: Hend Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada (uccisa nell’ottobre 2023), Haidar al-Ghazali e Refaat Alareer (ucciso nel dicembre 2023). Il volume è arricchito da una prefazione dello storico israeliano Ilan Pappé e da due interventi firmati dalla scrittrice Susan Abulhawa, autrice del romanzo bestseller Ogni mattina a Jenin, e dal giornalista premio Pulitzer Chris Hedges, ex corrispondente di «The New York Times» da Gaza.
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Dopo le polemiche sul Manifesto di Ventotene, riprendiamo da «l’Unità» un articolo del 1952 di Lucio Lombardo Radice che dava conto di un confronto tra europeisti condotto sulla rivista fiorentina «Il Ponte», riportando in particolare le posizioni contrapposte di Piero Calamandrei e Altiero Spinelli. Emergevano due idee di Europa, l’una volta a mediare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, l’altra tutta interna al campo occidentale e rivolta contro il comunismo.
Lombardo Radice polemizzava con Spinelli accusandolo di voler promuovere la formazione di un esercito europeo diretto contro l’Unione Sovietica e i paesi del campo socialista; un progetto che prevedeva, tra l’altro, un forte riarmo della Germania e una riabilitazione dei generali che anni prima avevano combattuto per la Germania hitleriana.
Altiero Spinelli (1907-1986), comunista antistalinista che aveva rotto col partito di cui aveva fatto parte dal 1924, cercò per tutta la vita di realizzare il proprio sogno di una Federazione europea. La sua parabola politica lo portò infine a essere eletto deputato alla Camera e quindi al Parlamento europeo come indipendente nelle liste del PCI.
Jean Jaurès (1859-1914).
Dalla rivista «Internazionale»
di Giovanni De Mauro
Jean Jaurès è stato un uomo politico francese, nato nel 1859 e ucciso a Parigi il 31 luglio 1914. Leader socialista, fu ispiratore e teorico del pacifismo, ideale per il quale fu assassinato da un nazionalista alla vigilia della prima guerra mondiale. Nel 1903 fu invitato a tenere un discorso agli studenti nel liceo di Albi, nel sud della Francia, in cui aveva insegnato prima di diventare deputato, e tra l’altro disse:
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“L’umanità è maledetta se per dare prova di coraggio si condanna eternamente a uccidere. Il coraggio oggi non è far vagare sul mondo la terribile nube della guerra. Il coraggio non è lasciare alla forza la soluzione di conflitti che la ragione può risolvere.
“Per voi il coraggio deve essere quello di ogni ora: è saper sopportare le prove fisiche e morali che la vita impone di continuo. Il coraggio è scegliere un mestiere, farlo bene, non disgustarsi per dettagli monotoni e fastidiosi. In qualunque mestiere bisogna esser sia pratici sia filosofi.
“Il coraggio è capire qual è la propria vita, precisarla, approfondirla e al tempo stesso coordinarla con la vita in generale. Il coraggio è tenere d’occhio la propria macchina per filare o per tessere in modo che nessun filo si rompa, e tuttavia prepararsi a un ordine sociale più grande e fraterno in cui la macchina sarà al servizio dei lavoratori liberati.
“Il coraggio è accettare le nuove condizioni che la vita propone alla scienza e all’arte, accogliere ed esplorare la complessità quasi infinita dei fatti e dei dettagli, e al tempo stesso illuminare questa realtà enorme e confusa con delle idee generali, organizzarla e sollevarla con la bellezza sacra delle forme e dei ritmi.
“Il coraggio è dominare i propri errori, soffrirne ma non esserne sopraffatti e continuare il proprio cammino. È andare verso l’ideale comprendendo la realtà. È agire e dedicarsi alle grandi cause senza sapere quale ricompensa riserverà al nostro sforzo l’universo, né se una ricompensa ci sarà. Il coraggio è cercare la verità e dirla, non cedere alla menzogna, non associarsi alle urla dei fanatici”.
(Tratto da: Giovanni De Mauro, Coraggio, in «Internazionale», n. 1448, 17 febbraio 2022, pag. 5).
Dalla rivista «Sotto la bandiera del marxismo» – 1922
di Vladimir Il’ič Lenin
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Materialismo e ateismo sono alla base della nascita nel 1922 della rivista «Pod znamenem marksizma» («Sotto la bandiera del marxismo»). Sul secondo numero di tale rivista, il n. 3/1922, Vladimir Lenin pubblicò Materialismo e ateismo sono alla base della nascita nel 1922 della rivista «Pod znamenem marksizma» («Sotto la bandiera del marxismo»). Sul secondo numero di tale rivista, il n. 3/1922, Vladimir Lenin pubblicò l’articolo Sul significato del materialismo militante (O značenii voinstvujuščego materializma), in cui definì il ruolo e il programma per lo sviluppo della filosofia marxista nell'era moderna e considerò il lavoro teorico del partito come parte integrante del piano di edificazione socialista. Questo scritto costituiva la continuazione e l'ulteriore sviluppo di opere di Lenin come Materialismo ed empiriocriticismo e Quaderni filosofici, e divenne, in sostanza, il suo testamento filosofico.
Monumento dedicato ai bambini deportati di fronte al Museo dell’Olocausto macedone, Skopje (Meridiano 13/Nicola Zordan).
Fonte della foto: https://www.meridiano13.it/wp-content/uploads/2024/02/museo-Olocausto-macedone-Skopje.jpeg
Mentre il 10 marzo a Sofia si celebra la “Giornata del salvataggio degli ebrei bulgari”, l’11 marzo a Skopje si ricorda l’Olocausto macedone.
La questione degli ebrei bulgari e macedoni attraverso le visite al Museo Nazionale di Storia della Bulgaria a Sofia e al Museo dell’Olocausto macedone a Skopje: due narrazioni e interpretazioni degli eventi della Seconda guerra mondiale diametralmente opposte e confliggenti, con ricadute tutte attuali sulle relazioni diplomatiche tra i due stati confinanti.
Il giovane Lukács.
Fonte della foto: https://lisandromoura.wordpress.com/wp-content/uploads/2011/02/lukacs6.jpg
di Lelio La Porta
Una breve ricostruzione del percorso politico del filosofo marxista ungherese.
Inoltre, presentiamo un breve scritto del 1919 in cui il Commissario del Popolo all’Istruzione pubblica György Lukács affermava il valore dell’arte e della letteratura universalmente riconosciuti senza cedimenti di fronte al dilettantismo della letteratura proletaria e di partito.
Michał Kalecki (1899-1970).
Fonte della foto: https://www.xn--lamaana-7za.uy/opinion/michal-kalecki-el-desempleo-y-la-doctrina-de-las-finanzas-sanas/
di Sergio Zangirolami
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Formato al pensiero di Marx, anche attraverso Turgan-Baranovskij e Rosa Luxemburg, ne deriverà la continua attenzione per la divisione della società in classi e per il problema della domanda (il problema della realizzazione del plusvalore).
Dal sito «sinistrainrete.info»
(Einaudi, 2023)
recensione di Pierluigi Fagan
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«In che direzione si muove oggi il capitalismo? Verso la frammentazione. Non più pochi Stati-nazione ma tanti piccoli territori, senza tassazione progressiva, senza welfare, senza regole: senza democrazia.
Basta uno sguardo alle mappe del mondo degli ultimi decenni. È dagli anni Novanta che la globalizzazione ha mandato in frantumi la geografia degli Stati-nazione creandone altri e immensamente più piccoli: paradisi fiscali, porti franchi, città-Stato, enclaves blindate e zone economiche a statuto speciale. Queste nuove zone sono esonerate dalle tasse e dalle regolamentazioni dei comuni mortali. E grazie a queste zone gli ultracapitalisti credono che sia finalmente possibile ciò che sembrava impensabile fino a qualche decennio fa: sfuggire ai vincoli e alle restrizioni dei governi democratici. Lo storico Quinn Slobodian si mette simbolicamente alle calcagna dei più noti e radicali neoliberali – da Milton Friedman a Peter Thiel – in giro per il mondo cercando la residenza perfetta per le loro fantasie da mercato libero. La caccia porta dalla Hong Kong degli anni Settanta al Sudafrica degli ultimi giorni dell’apartheid, dalle neoconfederazioni al modello medievale della città di Londra. Per arrivare infine alle zone di guerra e agli oceani, tracciando la disperata e instancabile rotta per un territorio vergine dove poter liberare il capitalismo dalla morsa della democrazia» (dalla quarta di copertina del volume).
Pietro Secchia (1903-1973).
Comunisti scomodi
di Angiolo Gracci (“Gracco”)
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Pietro Secchia (1903-1973) fu un grande organizzatore della Resistenza e dirigente di spicco del Partito Comunista Italiano, di cui fu vicesegretario generale e responsabile del settore Organizzazione e Propaganda. Negli anni Cinquanta egli venne emarginato dai vertici del partito per le sue posizioni considerate estremiste: non aveva mai voluto rinunciare all’idea dell’insurrezione armata e fu accusato di aver costituito una struttura clandestina di ex partigiani dotati di armi non riconsegnate dopo la Liberazione.
Negli anni Sessanta, nel pieno della contestazione studentesca, presero contatto con lui esponenti dei movimenti della sinistra extra-parlamentare per cercare di coinvolgerlo nella fondazione di un rinato partito comunista su basi marxiste-leniniste. Il comandante partigiano fiorentino “Gracco” fu incaricato di sondare la disponibilità del dirigente del Pci a imbarcarsi nell’avventura della fondazione del Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista). Qui il ricordo di quell’incontro.